ARBËRIA NEWS Blog

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mercoledì 20 novembre 2013

Tirana dice no!

di Emanuela Frate
(pubblicato il 18 Novembre 2013 su BabelMed)


Il Presidente Edi Rama
L’Albania dice NO! Edi Rama dice No e risponde picche agli Stati Uniti che avevano proposto al Paese delle due Aquile di smantellare l’arsenale di armi chimiche siriane sulla base del fatto che in passato l’Albania aveva già disinnescato le sue armi chimiche che possedeva fin dall’epoca comunista. A dire il vero il processo di disinnesco delle armi del regime comunista non è ancora completato e ci sarebbero almeno 100mila tonnellate tra armi e munizioni da disinnescare. A queste si aggiungerebbe tutto l’arsenale chimico di Assad (290 tonnellate di armi, munizioni, gas nervini e veleni vari). Da quando si è diffusa la notizia che l’Albania sarebbe stata indicata come il luogo ideale in cui distruggere questo grosso armamentario, si sono levate proteste in tutto mondo. Ovunque ci fosse una comunità di albanesi, si sono organizzati dei sit-in per dire al mondo intero con fermezza un no deciso a questo genere di ipotesi.

Sono state raccolte, in poco tempo, più di 30mila firme per una petizione on-line e, manifestazioni di protesta sono state fatte in varie città albanesi come Tirana, Valona, Scutari, Durazzo ma anche in Italia: a Milano, a Torino, a Roma, a Rimini; in Macedonia ed in Kosovo dove risiede una più nutrita popolazione di etnia albanese ed anche in Europa come nella capitale francese. Mentre queste manifestazioni avevano luogo erano in corso i colloqui all’AIA nel quartier generale dell’OPAC (organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) e, alle 17h il Presidente albanese, il socialista Edi Rama, annunciava, nel suo discorso, l’esito delle trattative. C’era molta apprensione tra le piazze albanesi stracolme di manifestanti anche perché non c’era nulla che lasciasse sperare in qualcosa di positivo (la contropartita era molto allettante per il piccolo Paese del sud balcanico, si parlava di aiuti economici come una copertura finanziaria pari a tre volte il bilancio dell’Albania; il riconoscimento dello status di Paese candidato a dicembre; aiuto alla piena adesione dell’Albania all’Unione Europea nel primo mandato di Edi Rama; la garanzia di uno status speciale per l’Albania nei confronti degli USA in cui si parlava anche dell’abolizione dei visti e, dulcis in fundo, la proposta di dare all’Albania il premio Nobel per la Pace). Musica per le orecchie del Presidente Edi Rama che era, per questo motivo, titubante fino all’ultimo. Tant’è che fino a poche ore prima dell’annuncio ufficiale del ritiro dell’Albania dai negoziati per la distruzione delle armi siriane, si pensava, al contrario, per un sì. Ma alla fine, Rama, si è dovuto piegare alla volontà del suo popolo che, in un collettivo risveglio di coscienza civica, ha manifestato pacificamente per esprimere il proprio diniego.
(LaPresse/AP)


L’annuncio del Presidente Rama (che nessuno si aspettava) è seguito a manifestazioni spontanee di gioia, quasi una gioia da stadio frammista ad applausi, abbracci e lacrime in un gremito Boulevard Dëshmorët e Kombit. I manifestanti issano le loro bandiere dall’aquila bicefala, intonando canzoni, scandendo slogan. L’Albania non si piega, l’Albania non accetta il “pacchetto regalo degli Usa” in cambio di scorie, nervini, gas sarin che, se maneggiati male, potrebbero creare un vero e proprio disastro ambientale e nuocere gravemente alla salute dei suoi abitanti e dei Paesi confinanti. Per l’Albania è un giorno di festa, un piccolo Paese che ha saputo imporre la propria voce anche nei confronti degli USA nel generale silenzio dei media internazionali, aver rifiutato di accogliere rifiuti tossici in un Paese dove le discariche a cielo aperto già abbondano, aver scongiurato una potenziale catastrofe che se fosse avvenuta avrebbe avuto dimensioni immani.

Adesso permane il problema che entro giugno del 2014 l’arsenale chimico di Bashar Al-Assad dovrà essere smantellato. Ma dove? In quale sito? Quale sito verrà indicato la prossima volta? E se il caso dell’Albania divenisse un importante precedente ed il futuro sito che verrà scelto dovesse rifiutarsi di smaltire il deposito di armi e munizioni siriane sulla falsariga di quanto ha già fatto, coraggiosamente, la piccola Albania?

sabato 9 novembre 2013

I Chami: il genocidio dimenticato

di Emanuela Frate
(pubblicato in Babelmed.net il 9 Novembre 2013)

Lo scorso 15 ottobre, in un incontro bilaterale, il ministro degli esteri greco Evangelos Venizelos ed il suo omologo albanese Ditmir Bushati hanno nuovamente sottolineato l’importanza del trattato di Amicizia greco-albanese, stipulato nel 1996 che, nelle comuni intenzioni, dovrà essere rafforzato anche in vista di un prossimo ingresso dell’Albania in Europa. Belle parole, bei discorsi, iniziative lodevoli se non fosse che, in realtà, i rapporti diplomatici tra i due Paesi, oltre alle parole di circostanza e ai discorsi di facciata, non sono mai stati idilliaci. A margine dell’incontro istituzionale, il ministro albanese Bushati ha testualmente affermato che “il trattato di amicizia Grecia-Albania rappresenta una solida base per intensificare i rapporti tra i due Paesi” aggiungendo inoltre che “la Grecia dovrebbe abrogare la legge della guerra ancora vigente”. Questo, infatti, è un aspetto, insieme a quello della Ciamuria (in albanese) o Thesprotia (in greco) tuttora irrisolto che fa sì che, tra i due Paesi, vi sia tuttora un certo astio strisciante.

L’incontro fra i due Paesi balcanici confinanti e la ricorrenza, quest’anno, del centenario del Trattato di Londra del 1913 - che ha determinato gli attuali confini dell’Albania - con numerosi convegni e seminari sul tema, ha riportato in auge un’antica questione molto sentita dalla popolazione albanese ovvero l’abrogazione di una legge greca ormai obsoleta come la sopracitata legge della guerra strettamente connessa alla questione dei chami che, ogniqualvolta viene riproposta, suscita vaghe nostalgie associate ad una buona dose di irredentismo e retoriche nazionalistiche.

Tra i tanti popoli che, nel Mediterraneo, hanno subito ondate di persecuzioni e pulizie etniche, si sorvola spesso su quello chami, oppure il dramma vissuto da questo popolo viene vagamente accennato sui libri di storia e, non di certo, sui libri di storia greci. La Ciamuria, conosciuta in greco come Thesprotia ovvero l’Epiro centrale, è un’area situata nella zona costiera al confine tra Grecia e Albania ed è abitata da gente di etnia e lingua albanese e di religione prevalentemente musulmana. Questa popolazione fu, per decenni, oggetto di maltrattamenti e persecuzioni, fino a quando si consumò una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei chami, molti dei quali furono forzatamente costretti ad emigrare in Albania per non subire ulteriori torture. Il pretesto per cancellare questa popolazione indesiderata fu l’accusa di collaborazionismo con il fascismo. L’episodio storico risale al 1943 quando i nazi-fascisti fucilarono quarantanove patrioti greci e, secondo la versione greca, questa carneficina si consumò grazie al concorso di cittadini greci di origine cham (quindi di etnia albanese e religione musulmana).

Generale Napoleon Zervas
In realtà, i chami furono sempre invisi ai veri greci essendo musulmani e quindi, nell’immaginario collettivo greco, assimilabili ai turchi cioè ai nemici storici. L’obiettivo della Grecia, infatti, era quello di cancellare tutti gli elementi non greci e l’identità non ortodossa. A subirne le conseguenze furono le minoranze macedoni e albanesi (sebbene in realtà diversi studi confermino che i greci di etnia macedone e albanese siano autoctoni). Da questo momento i chami furono allontanati in modo coatto dal territorio greco, buona parte di essi perirono durante l’esodo forzato ed altri furono massacrati (anche donne e bambini) per mano degli attacchi inferti dalle truppe elleniche guidate dal generale Napoleon Zervas che è tuttora considerato, in Grecia, un eroe nazionale per aver protetto il suolo greco (la zona di Giannina) dagli occupanti italiani (coadiuvati dai chami) durante la seconda guerra mondiale.

L’esodo forzoso dei chami contribuì non poco a fare di quella albanese, una tra le popolazioni più diasporizzate d’Europa. Come se tutto ciò non bastasse, ai chami furono confiscate terre, case, bestiame, arredi sulla base di una famigerata legge della guerra varata nel lontano 1940. Nel 1987 il governo greco propose l’abrogazione di suddetta legge anche se poi non fu mai ratificata dal Parlamento con il risultato che oggi, a distanza di 73 anni, col pretesto che la legge greca non viene applicata e che la sua abrogazione è implicita (senza bisogno di essere ratificata) persiste una legge ingiusta che impedisce de facto agli eredi e discendenti dei chami, di tornare in possesso dei propri beni, detenuti, illegittimamente, dalla Grecia. Ai Chami (buona parte dei Chami di religione ortodossa), rimasti in Grecia, viene tuttora impedito di parlare apertamente la lingua albanese e lo Stato greco opera un processo di assimilazione e di ellenizzazione dei chami nel tentativo di soffocare ogni sentimento di appartenenza alla minoranza etnico-linguistica albanese. Lo Stato greco nega tuttora i visti d’ingresso ai ciamurioti che volessero visitare la terra che hanno dovuto lasciare (la Grecia appunto).

Una soluzione a questo annoso problema sarebbe l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea (l’Albania ha ottenuto il riconoscimento di Paese candidato anche se il processo d’integrazione alla UE sarà ancora lungo e irto di ostacoli) cosicché anche gli albanesi possano avere uguali diritti ed i ciamurioti possano entrare liberamente in Grecia ed ottenere anche la cittadinanza greca. Ogni 27 giugno, dal 1994, il governo albanese celebra un giorno di commemorazione per ricordare il genocidio dei chami, ma, benché lodevole, si tratta di un evento isolato dal valore esclusivamente simbolico tant’è che, nella percezione comune, sono pochi ad avere la consapevolezza di quanto abbia dovuto subire e quanto ancora stia soffrendo l’identità del popolo Chami nel cuore della vecchia Europa.

domenica 11 agosto 2013

Ururi. A quattro occhi con l’Ambasciatore

 di Anxhela Naka
(articolo tratto da Albania news del 9 Agosto 2013)

l paese era in festa. Davanti l’immenso portone del comune si era radunata una piccola folla. Tutti attendevano l’arrivo di qualcuno; chi sperava in una foto, chi di scambiare due chiacchiere, chi in una stretta di mano. E poi c’ero io, che avrei voluto sentire solo le sue parole.

Si vide sbucare dalla stradina, che portava nell’ immensa piazza, un’auto scortata, un’auto blu. Scese un uomo, giacca e cravatta, capelli bianchi, era lui.
Mi precipitai nella sala comunale prima che arrivassero tutti. Dopo qualche minuto l’ambasciatore entrò, salutando con un timoroso ‘Buonasera’ dall’accento albanese. L’ambasciatore, Neritan Ceka, era accompagnato dall’ambasciatore albanese in Gran Bretagna, Mal Berisha. Tutti presero posto, io mi misi in piedi in fondo alla sala.
 Da sinistra, il Sindaco di Ururi Luigi Plescia,
l'ambasciatore Neritan Ceka accompagnato dall’ambasciatore albanese in Gran Bretagna, Mal Berisha.
Il sindaco fece una breve presentazione del paese, dalla cultura, alle tradizioni, dalle origini alla lingua. Poi lasciò la parola all’ambasciatore, che si alzò in piedi e iniziò a parlare.Iniziò dicendo che, da archeologo qual era, aveva pensato che Urur significasse ‘beato’ dalla somiglianza che ha con il termine ‘i ururar’ in albanese. “Ed è cosi, – continuò – i nostri antenati sono venuti qui per trovare una nuova patria, ed e’ qui che hanno mantenuto le loro tradizioni, per non tradire mai le loro origini.
Voi siete riusciti a conservare un piccolo pezzo d’Albania nel vostro paese, Ururi, ed è per questo che il nostro centenario d’Indipendenza è iniziato qui, non in Albania.”.
Poi passò alla politica: “Si pensa a un futuro migliore. In Italia si sente un clima di pessimismo, ma io credo che l’ottimismo esista. Noi siamo europei convinti. L’Europa non è un sogno, una realtà difficile sì, ma non un sogno”.
E mentre loro parlavano di crisi e di realtà difficili, la mia mente spaziava altrove. Pensavo a noi, noi immigrati, noi che stiamo tra le due sponde del fiume, noi orfani di patria. Come se la nostra madre patria ci avesse abbandonato, o magari noi, senza scrupoli, l’avessimo abbandonata, egoisticamente ma anche miseramente, per un futuro migliore, e ora d’un tratto ci fosse venuta a trovare. Lui, un uomo apparentemente comune, rappresentava la mia Nazione, la mia patria, la mia terra. Ed io di questo ne sono andata fiera. Finalmente, dopo tanto, mi sentivo protetta, non ero più orfana, mi sentivo a casa.
E cosi un’ondata di ricordi da bambina mi travolse e dovetti mandarli giù come un boccone amaro.
Sentivo che la mia patria non mi aveva dimenticato, e cosi, come una madre, cercava i suoi figli sparsi nel mondo, partoriti dal suo ventre, quei figli ai quali aveva insegnato una lingua, una cultura, aveva tramandato storie, canzoni, tradizioni.
Fissai gli occhi sullo sfondo rosso della bandiera, Dio quanto mi mancava. Quanto avrei voluto vederla svolazzare li, quella bandiera, su quella terra, e guardarla col naso all’insù’ ammirando quel cielo, e respirando quell’aria. E tenere dentro quell’odore di libertà, spezzando le catene dell’ingiustizia, della differenza, e dell’indifferenza. Mi mancava la gente come me, la mia gente, e in quel momento sarei scappata via, e a piedi nudi mi sarei buttata su un prato verde, un prato albanese.
E cosi, distesa a terra, avrei visto nel cielo limpido svolazzare un’aquila, e sarei stata viva, sarei stata libera.
E quando meno te lo aspetti la vita ti fa questi scherzi, ti riporta il passato tra le mani, e ti ricorda che il futuro sarà sempre più diverso e sempre più lontano dalla tua casetta nel paese delle aquile.
L’Albania sta cambiando, in meglio, e questa è l’occasione per dimostrare agli altri che valiamo qualcosa, che possiamo anche noi, nel nostro piccolo, dare qualcosa al mondo.
E se per qualcuno l’incontro con un ambasciatore può essere una cosa insignificante, una formalità, per me è stato tutto questo, emozioni, ricordi, sentimenti, speranze.
E per questo, posso dire solo Grazie.

domenica 4 agosto 2013

I segni sonori dell’appartenenza: l’iso-polifonia albanese.

di Anna Maria Ragno

L’iso-polifonia albanese, che nel suo insieme è stata insignita del riconoscimento di Patrimonio immateriale dell’Umanità dall’Unesco, si compone di tre schemi strutturali di massima (tosk, lab e çam), in cui ciascuna comunità infonde i propri tratti distintivi, diventando in tal modo segni sonori di appartenenza: segni sonori distintivi, che segnano l’appartenenza ad un determinato contesto linguistico, culturale, sociale e politico.
Nel loro insieme, queste diverse espressioni musicali, sono le più affascinanti e originali forme di polifonia di tradizione orale dell’area euro-mediterranea. Le aree d'espressione polivocale per eccellenza sono la regione adriatica a sud del fiume Shkumbin, e quella ionica a sud del fiume Vjosa, corrispondenti ai due gruppi linguistici meridionali tosk e lab.

Un discorso a parte merita la polifonia della minoranza albanese çam, costituita da circa 200.00 persone di lingua albanese, provenienti dall’Epiro, la regione della Grecia settentrionale, che in albanese viene chiamata Çamëria. Emigrati in Albania durante la prima metà del ‘900, ora si trovano sparsi fra l’Albania meridionale (le comunità più importanti sono quelle che vivono nelle città di Fier e Valona) e la Grecia settentrionale, dove è stanziata l’altra parte della minoranza albanese Cham, costituita secondo alcune stime da circa 40.000 persone, anche se l’idioma albanese è parlato solo da 10.000 ciamurioti. Secondo l’efficace definizione di Ramadan Socoli, l’illustre musicologo albanse, i çam, che ancora oggi sono oggetto di aspre controversie tra Albania e Grecia, costituiscono un caso singolare di emigrati in casa propria. Sono ben integrati nella società albanese, ma hanno maturato una forte identità di appartenenza alla comunità çam: un'identità segnata dalla diaspora, dal legame con la terra di provenienza - che hanno dovuto lasciare per le politiche ostili e per le forme di espulsione applicate nei loro confronti dalle autorità greche -  e dalla rivendicazione dei propri diritti nei territori greci da cui sono fuggiti.

All’interno di queste regioni troviamo quei tratti comuni che consentono di identificare distinti modelli espressivi, ma prima di addentrarci in queste distinzioni, è il caso di illustrare il significato della parola 
iso-polifonia.

Il termine iso si riferisce al ronzio di accompagnamento. In genere tra i Tosk è sempre continuo e cantato sulla sillaba 'e', usando la respirazione scaglionata; mentre per i Lab è cantato come un tono ritmico. Questo tipo di canto è eseguito principalmente da cantanti di sesso maschile, e accompagna tradizionalmente una vasta gamma di eventi sociali, come i matrimoni, i funerali, le feste del raccolto, celebrazioni religiose e folk festival come quello che si tiene ogni anno ad Argirocastro.

Per polifonia, invece, si intende quel tipo di scrittura musicale che prevede l’insieme simultaneo di più voci umane e/o strumentali (la parola deriva dal greco e significa per l’appunto “a molte voci”) su diverse altezze sonore, che procedono simultaneamente secondo determinate regole armoniche, ma che si possono considerare anche autonome, in quanto ogni voce agisce indipendentemente dall’altra. I primi modelli di tale struttura sono già rinvenibili nelle cerimonie musicali delle civiltà primitive dell’antica Grecia.
In senso lato la polifonia  può indicare qualsiasi aggregazione verticale di suoni, come per esempio, nel linguaggio dell’armonia, un accordo. Al concetto di polifonia si oppone quello di monodia (canto a una voce), che distingue la musica romano-bizantina, termine con il quale si intende attualmente la musica religiosa ortodossa orientale.

L'iso-polifonia albanese è caratterizzata da brani composti principalmente da due parti solistiche, una parte compone la melodia e l'altra esegue un controcanto con un iso corale. La struttura di queste parti solistiche varia a seconda dei diversi modi di eseguire il canto, poiché ogni gruppo adatta la struttura alle proprie esigenze.  Tuttavia, come abbiamo già visto,  si possono distinguere tre macro modelli:  tosk,  lab e çam.
Il modello tosk ha un carattere orizzontale e presenta due parti soliste che si muovono sul bordone ininterrotto, detto isso o kaba intonato da tre o quattro cantori sulla "e" chiusa. Avanzando prevalentemente per imitazione, la voce guida, marresi, e la seconda voce, pritesi compiono ampi movimenti melodici e sono caratterizzate da un particolare procedimento di ornamentazione, una sorta di yodel, che consiste nel rapidissimo passaggio dal registro grave a quello acuto. Tra i principali centri vanno ricordate le regioni di Berat, Koriza e Santiquaranta.

La polivocalità lab risponde invece ad una concezione "verticale", nella quale le parti alternano dissonanze e consonanze. Il bordone che ha un andamento sillabico e colori cangianti. Su questo baricentro si muovono lente e compatte le tre parti: la prima presenta la frase melodica, alla quale la seconda fa da contrappunto, mentre la terza interviene solo a tratti, creando un amalgama armonico nel quale risaltano i differenti timbri. Le tre voci soliste, che agiscono prevalentemente nel registro acuto, sono chiamate marresi, kthyesi e hedhesi ad indicare il loro gioco sonoro di presa, risposta e rilancio. La tradizione lab predilige le melodie pentafoniche ed è caratterizzata dal frequente impiego di intervalli armonici di seconda. La forza espressiva del canto deriva non solo dalla potenza dell'emissione, ma anche dalla ricorrente presenza del vibrato. Nell'area lab i principali centri dell'espressione polivocale sono la regione di Valona, Tepelena ed Argirocastro.

Nella Ciamuria (in albanese Çamëria) l'espressione polivocale riprende l'andamento orizzontale che caratterizza l'area tosk e il cui bordone manifesta evidenti reminiscenze bizantine. La polifonia dei çam, che è prerogativa esclusiva delle voci maschili,  vede come tratto principale la presenza del bordone (iso), eseguito da un piccolo coro, sul quale si addensano altre voci in movimenti polifonici talvolta assai complessi. Nella polifonia dei çam, sopra il bordone vi sono due solisti  - marrësi e kthyesi, ovvero ‘colui che prende il canto’ e ‘colui che lo rigira’ - che si rincorrono in sofisticati giochi imitativi. Secondo il prof. Nicola Scaldaferri, essa presenta una raffinatezza sconosciuta alle altre forme di isopolifonia albanese, ovvero alle polifonie tosk e lab. Ai cantori çam, infatti, viene unanimemente riconosciuta una straordinaria abilità nel fiorire le linee melodiche. I gruppi vocali spesso vengono accompagnati da gruppi strumentali, per cui le ornamentazioni vocali gareggiano con il virtuosismo dei vari strumentisti. I testi verbali, accanto a quelli rituali e funzionali, presentano contenuti di carattere storico in cui si rievocano la diaspora dei çam. Di notevole interesse è anche il repertorio di elegji, canti di rimpianto e nostalgia per la casa e le terre abbandonate oltre il confine greco, eseguiti spesso dagli uomini a voce sola.

Nel canale youtube Diaspora Arbëreshe è possibile ritrovare vari esempi di isopolifonia tosk e lab, ma segnaliamo per tutti il Gruppo Ensemble Tirana e brani come Do marr çiften.

I componenti di questo gruppo sono profondi conoscitori delle diverse espressioni del canto polivocale tradizionale, in particolar modo quelle degli stili della Ciamuria e delle regione di Valona e Koriza. Si tratta di una formazione di cantori professionali scelti tra i migliori elementi dell’Ensemble nazionale di canti e danze popolari d'Albania. Per tale motivo la loro esecuzione risulta meno ruvida di quella amatoriale della gente comune e più precisa nell'intonazione e negli attacchi. Per la tradizione çam si segnala anche il Gruppo polifonico di Fier e Rrogozhina.

Fra gli innovatori del panorama musicale albanese segnaliamo la genialità e la sensibilità artistica del pianista Markelian Kapedani, che con gli Euphonia Ensemble ha reinterpretato Ti je zemra ime (Tu sei il mio cuore), una ninna nanna dedicata ai bambini kosovari, e il talentuoso Admir Shkurtaj, che con la sua fisarmonica ha arricchito le sonorità del gruppo grecanico Ghetonia.




Sitografia:
http://www.leav.unimi.it/cam.html
http://brunildaternova.blogspot.it/2009/12/liso-polifonia-albanese-la-genialita.html
http://www.musicballkan.com/coro_polifonico_tirana.htm

mercoledì 10 luglio 2013

L’Albania si tinge di viola

di Emanuela Frate
(Articolo pubblicato in Babel Med il 10 Luglio 2013)

Lo scorso 23 giugno gli albanesi si sono recati alle urne per il rinnovo dei 140 seggi parlamentari, voltando definitivamente pagina dopo oltre vent’anni di governo presieduto da Sali Berisha che, anche in questa ultima competizione elettorale si era candidato sperando fino all’ultimo in un terzo mandato. Un terzo mandato che però non è arrivato avendo vinto la coalizione di centro-sinistra capeggiata dall’ex Sindaco di Tirana Edi Rama che ha conquistato 84 seggi contro i 56 seggi di Berisha. Ci aveva sperato fino all’ultimo Sali Berisha tant’è che i due candidati, dopo le prime proiezioni, rivendicavano, ognuno, la propria vittoria.
Edi Rama
Ma, dopo due giorni di un interminabile scrutinio che ha tenuto col fiato sospeso tutti i contendenti, finalmente, sono arrivati i risultati definitivi ed il leader del Partito Democratico albanese Sali Berisha si è dovuto arrendere all’evidenza della sconfitta netta della sua coalizione attestatasi al 39,4% contro il 57,7% della coalizione di centro-sinistra capeggiata dal socialista Edi Rama. Il proverbio recita “chi la dura la vince”, infatti, Edi Rama sconfitto nel 2009, aveva contestato la vittoria di Berisha per presunti brogli ma questa volta, si è preso una bella rivincita sul suo rivale di sempre che ha perso consensi anche nelle città come Scutari, nell’ostile nord montagnoso, sue roccaforti. Contrariamente alle previsioni trionfalistiche non hanno superato la soglia di sbarramento neanche i due partiti di estrema destra che correvano da soli come “Fryma E Re Democratike” (Nuovo Spirito Democratico) dell’ex Presidente Bamir Topi ed il partito ultranazionalista di Kreshik Spahiu l’AZK (alleanza Rosso-nera) che, col suo irredentismo e rigurgiti patriottici, ha raccolto discreti consensi presso una popolazione che non ha mai smesso di sognare una “Grande Albania” in grado di riunire i territori di Albania, Kossova; Macedonia e le minoranze albanesi dal Montenegro, fino alla Grecia, in quel tratto dell’ Epiro -denominato in albanese “çamëria” (dall’omonimo fiume çam”) abitato da minoranze albanesi e da sempre rivendicato. Il voto di “testimonianza” dei due partiti di destra che non hanno ottenuto risultati significativi sta a dimostrare che la politica albanese si sta polarizzando attorno a due blocchi centrali (partito democratico e partito socialista) assumendo sempre più le sembianze delle competizioni elettorali europee.


Sali Berisha (foto di G. Nicoloro)
Dopo una campagna elettorale un po’ spenta sia da parte dei due leader politici che da parte dei cittadini, la gioia è esplosa nella notte quando è stata annunciata la vittoria ufficiale di Edi Rama. Grande festa per le strade, automobili a clacson spiegati, bandiere viola hanno colorato le vie di Tirana, Durazzo, Valona. Anche gli osservatori dell’OCSE non avrebbero riscontrato irregolarità talmente eclatanti da inficiare il voto. Insomma, a parte l’infausto episodio di sangue che aveva fatto presagire il peggio, non ci sarebbero stati brogli lapalissiani anche se, i voti di scambio, le promesse di un lavoro o 30.000 lek per ogni voto, quelli esistono ancora. Ecco perché buona parte degli albanesi all’estero temevano che anche queste elezioni decretassero la vittoria “comprata” di Berisha e del suo clan familiare. Ma così non è stato. E gli albanesi si stanno, a piccoli passi, incamminando verso la democrazia e lo hanno fatto senza manifestazioni di piazza, ma in silenzio, nella quiete della cabina elettorale, apponendo una X nella dicitura “Aleanca për Shqipërinë Europiane (Alleanza per l’Albania europea) manifestando, in questo modo, la volontà di cambiare rotta. Ma non è tutto oro quello che luccica.

Il cammino del Presidente Edi Rama sarà irto di difficoltà: c’è da arginare una corruzione dilagante, c’è da ristrutturare (o da ricostruire ex novo) le infrastrutture, il sistema sanitario, l’istruzione pubblica, la già flebile economia andata a picco per via delle minori rimesse degli albanesi residenti all’estero colpiti anch’essi dalla crisi. Insomma il cammino sarà più che mai in salita. Edi Rama ha il dovere principale di guadagnare la fiducia di tutto il popolo albanese ogni giorno con un lavoro instancabile e con una politica improntata sull’onestà. Così da far guadagnare all’Albania il giusto posto che merita in Europa. Ma non sarà affatto facile, pur essendo animato da nobili propositi e, guidare un Paese così piccolo ma così complesso come l’Albania, non è come fare il Sindaco di Tirana. L’artista (come viene chiamato Edi Rama dopo aver colorato i grigi e spenti agglomerati urbani della capitale) dovrà fare i conti con i suoi alleati, in primis Ilir Meta, esponente del LSI (Movimento Socialista per l’Integrazione) che, farà pesare i suoi 16 seggi conquistati.


 Ilir Meta
Molti si chiedono se Meta possa rappresentare l’ago della bilancia e se possa essere sfiorato, anche questa volta, da quella piaga insanabile che si chiama trasformismo. Il Movimento Socialista per l’Integrazione (una costola del partito socialista) è stato alleato del centro-destra di Berisha diventandone vicepremier ed è ricordato per esser stato, nel 2011, travolto da uno scandalo di tangenti e corruzione che avevano provocato anche insurrezioni popolari - sull’onda delle primavere arabe - presto sedate nel sangue. Ci si chiede se Meta possa essere un alleato affidabile per Edi Rama o se cambierà nuovamente schieramento politico. A mitigare l’entusiasmo per la vittoria dei socialisti c’è anche il fatto che i protagonisti del cambiamento “presunto” siano in fondo sempre gli stessi da decenni orsono. Per non parlare del fatto che, come ha annunciato lo stesso Edi Rama nel suo discorso dopo la vittoria, “tutti saranno chiamati a fare sacrifici” per sanare la disastrosa situazione economica ereditata dai precedenti governi dovuta principalmente a politiche clientelari. Insomma, molte speranze sono riposte in questo risultato elettorale quasi plebiscitario che ha decretato la fine di un sistema familiare, clientelare e corrotto, ma con la consapevolezza che non sarà facile e che ci vorrà molto tempo per scardinare i privilegi acquisiti ma soprattutto una mentalità che, a piccolissimi passi, si sta affrancando da categorie e sovrastrutture preconcette e da un modus operandi obsoleto.

venerdì 5 luglio 2013

Futuro: con o senza l’Arbëreshe?

di Anxhela Naka
Articolo pubblicato su "Albania NEWS"  il 4 Luglio 2013

Ci avete mai pensato a cosa fanno i bambini a quattro anni? Beh, a quattro anni si pettinano le bambole, si gioca con le macchinine, si va al parco giochi.Ed è cosi che un bel giorno, a quattro anni, ti dicono che presto partirai, andrai lontano, andrai in Italia.

Tu resti immobile, ferma, pensando a cosa significhi quella parola cosi strana, ‘ITALIA’, e poi inizi a immaginare, a fantasticare luoghi, paesaggi, e pensi che magari siano come li vedi nei cartoni, come il mondo delle fiabe, come le principesse, senza streghe cattive o brutti orchi. Alla fine hai capito che l’Italia sarà un altro mondo, ma chi l’avrebbe mai immaginato che in Italia si parlasse l’Albanese, o meglio l’Arbëreshe ?

Per “Arbëresh” s’intende il dialetto parlato oggi in alcune zone dell’Italia come Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, ecc. derivato dall’Albanese parlato cinquecento anni fa dai nostri antenati albanesi che, in fuga dalla dominazione ottomana, raggiunsero l’Italia e vi si stanziarono, mantenendo lingua e tradizioni del loro paese d’origine, l‘Albania.

URURI (Rùri in Arbëreshe) - provincia di Campobasso (Molise)
Anche qui a Ururi, il mio paese adottivo, si parla l’Arbëreshe. Ricordo che quando arrivai i primi giorni in Italia, non sapevo parlare l’italiano, e trovai molta difficoltà a interagire con i bambini dell’asilo che volevano fare amicizia. Le vicine di casa invece, che erano un po’ più anziane, mi parlavano in una ‘lingua’ che assomigliava alla mia! Potete immaginare la sorpresa di una bambina di 4 anni, in un Paese straniero nel sentir parlare una lingua simile alla propria.                                                                                                                                                                                                             Dovrei sentirmi onorata,  lusingata di sentir parlare ancora di questa lingua, non pensate? Ed è cosi, infatti.
Di solito nei musei si conservano antiche statue, gioielli, mummie, papiri, oggetti di valore, pietre preziose e molto altro. I musei servono a conservare. ‘CONSERVARE’ questo termine ha un significato particolare. Conservare vuol dire proteggere, proteggere da qualsiasi cosa, da qualsiasi fattore, e non per forza meteorologico. Anzi forse un legame con il tempo ce l’ha, sì, ma non con le previsioni. Il tempo. Il tempo passa per tutti, anzi per tutto. Cosi com’è passato per le mummie esposte al museo. Chi di voi non ha mai avuto la curiosità di sapere quanti anni avesse quella mummia? E chi di voi non è rimasto a bocca aperta nel sentire quel numero pronunciato dalla guida?
Bene, se quel tempo così lungo vi ha provocato uno stupore del genere perché non dovrebbe farlo anche il tempo di una lingua? Cinquecento anni. Una lingua parlata in un altro Paese. Sopravvissuta in un altro Paese. Come minimo deve essere stata conservata da cinque generazioni. Cinque generazioni che in questo caso hanno fatto da museo. L’hanno conservata e coltivata ogni giorno, nonostante esistesse una lingua ufficiale, ed è per questo che oggi ne sentiamo ancora parlare. Ma come tutte le cose belle prima o poi finiscono, è successo anche nel nostro caso. L’Arbëreshe sta scomparendo. Ebbene sì. I giovani non la parlano più e la catena sta per spezzarsi. Avete di sicuro sentito la famosa frase ‘I giovani sono il futuro’ oppure ‘I giovani sono la nostra speranza’, frasi molto ricorrenti, forse sembreranno anche frasi fatte, ma hanno il loro fondo di verità. E’ tutto nelle mani dei giovani, nelle nostre mani. Dobbiamo essere noi a decidere se essere un piccolo museo oppure seppellire con le nostre mani questa lingua. Seppellire la lingua che i nostri antenati hanno mantenuto integra per secoli. Dobbiamo essere noi a decidere se identificarci o no in quegli antenati, dobbiamo decidere chi essere. Possiamo scegliere di lasciarci il nostro passato alle spalle, o di imparare dal passato per migliorare il nostro presente. Ma come si fa a chiudere con il proprio passato? La Storia stessa ci insegna a ricordare, o meglio, ci da la possibilità di ricordare, di capire, di imparare dai nostri errori. Perché è solo conoscendoci che possiamo essere liberi.
Anch’io faccio parte di quei giovani, ognuno fa parte di quei giovani e nessuno deve pensare di essere piccolo e insignificante, perché se è vero che l’unione fa la forza, noi  siamo la forza.
Trovandomi tra due terre, tra due culture, essendo un albanese che vive in Italia, magari sarò anche un po’ di parte per la sopravvivenza dell’Arbëreshe; è importante per me e lo spero con tutto il cuore.
Non possiamo prevedere il futuro, ma possiamo avviare un processo per migliorarlo. E chissà se un giorno i nostri nipoti o pronipoti troveranno un vecchio libricino che parlerà di una lingua antica parlata anni fa, o magari, un giorno, i nostri nipoti parleranno quella lingua, la lingua dei loro antenati, NOI.

RURI, HORË ARBËRESHË

Horë e bukur mbë kolin
ktu ku u’ kam shtepin,
ku sërriten burrat e dheut
“jemi niprat e Skanderbeut”.

Arbëresh po i sërritën
që kur lurën Arbërinë,
përmes tumpestës shkovën
dhe ktu vurën shtëpin.

Si guarrier, si contadin
ngritën horën gur mbë gur,
e ruovën si gjë e shtreint
dhe e pagzovën Rur.

Mbi çdo gur nje pikez lot
mbi çdo lot nje lule çeli,
dhe kur zgjohëshën menat
varejen ka ha lei dielli.

Po p’atej nga vijën burrat
bëji sembu mot i lig,
bi te shkovën pesqind vjet
pë të dukëshi pakëz dritë.

Të mos harrojën kaha vijën
gjithë ndër to sërriteshin gjiri,
thojën bukë, thojën ujë
thojën prag, thojën shtëpi.

Mëma birit i mësoj
gjuhën kurr të mos harroj,
i tha: “Bir, ku do të vesh
mos harro se je Arbëreshë!”

Dhe kur larg horës shkoven
të kërkojen ca lavur,
qevën mbiçet, qeven kurmin
ma zëmrën e lurën Rur.

URURI, PAESE ARBËRESH

Bel paese su una collina,
qui dove io abito,
dove dicono gli uomini della terra
“ siamo figli di Skanderbeg”.

Arbëreshë li hanno sempre chiamati
da quando lasciarono l’Arbërinë,
la tempesta attraversarono
e qui costruirono la casa.

Come guerrieri, come contadini
costruirono il paese pietra dopo pietra,
lo difesero come cosa preziosa
e lo chiamarono Ururi.

Sopra ogni pietra una lacrima
sopra una lacrima un fiore sbocciò,
e quando si svegliavano al mattino
guardavano dove sorgeva il sole.

Ma da dove venivano gli uomini
faceva sempre brutto tempo,
dovettero passare cinquecento anni
per vedere un po’ di luce.

Per non dimenticare da dove provenivano
Tutti tra di loro si chiamavano parenti,
dicevano pane, dicevano acqua,
dicevano uscio, dicevano casa.

La madre al figlio insegnò
di non scordare mai la lingua,
gli disse: “ Figlio, dovunque tu vada
non dimenticare mai che sei Arbëresh!”

Anche quando andavano lontano dal paese
per cercare un po’ di lavoro,
hanno portato i panni, hanno portato il corpo
ma il cuore l’hanno lasciato a Ururi

giovedì 27 giugno 2013

Esmeralda Tyli, un'albanese d’eccezione racconta le speranze riposte nel nuovo presidente Edi Rama

di Emanuela Frate
Articolo da ilmediterraneo.it del 27 Giugno 2013

Si chiama Esmeralda Tyli ed è una pasionaria donna albanese, residente da ormai molti anni in Italia, a Roma, città che ama e che le ha dato la possibilità di sviluppare le passioni e le lotte che, da tempo conduce a difesa dei cittadini più deboli in veste di  esponente del Forum Immigrazione PD, battendosi per i diritti dei cittadini stranieri in Italia, il diritto di cittadinanza e del voto amministrativo e la lotta contro il femminicidio. Ama definirsi una semplice militante, una cittadina impegnata su diversi fronti. Oggi ci racconta i sentimenti che l’hanno pervasa nel vedere la sua Patria d’origine che ama tantissimo alle urne per eleggere il nuovo Presidente che governerà il Paese delle due Aquile.

Signora Tyli che cos’ha provato quando ha sentito la notizia della morte ed il ferimento di alcuni suoi connazionali recatisi ai seggi? 
   Dolore, sconcerto e rabbia. Le elezioni politiche rappresentano un momento di estrema importanza per la democrazia di ciascun Paese soprattutto in Paesi, come l’Albania, dalle istituzioni democratiche ancora molto fragili. La notizia che le elezioni siano state funestate da questo vile gesto mi ha lasciato basita e, al tempo stesso, ho provato molta rabbia perché non immaginavo che succedessero simili cose dal momento che erano presenti molti osservatori stranieri e locali per garantire il legittimo svolgimento delle operazioni di voto. Tuttavia, ciò che mi fa più rabbia è il fatto che la notizia delle elezioni in Albania non sia stata annunciata dai media italiani, così come non è stato fatto alcun cenno dell’alta affluenza ai seggi (considerando che gli albanesi all’estero non potevano votare) ma, al contrario, la notizia della sparatoria in cui ha perso la vita un cittadino ed il ferimento di altri due è stata segnalata con molta enfasi…Come a voler dire che dell’Albania ci si occupa solo quando avvengono fatti di sangue!

Cosa si aspetta dal risultato di queste elezioni?
   La democrazia vera, il ritorno dell'etica, della moralità. Il rispetto dei diritti fondamentali. Il rispetto per la Costituzione. Lo sviluppo dell'economia, il ripristino del sistema dell'istruzione. La sanità tutta da costruire. Il diritto di voto per gli albanesi all'Estero. Il rispetto dell'articolo 8 della nostra Costituzione. Il rispetto per la storia, le tradizioni, guardando verso il progresso. L'Albania è nei millenni in Europa, la politica no. Ecco, far diventare la politica albanese degna del suo ruolo storico in Europa, dando al mio paese il posto che merita ed il rispetto che merita.

Che cosa non ha funzionato in questi ultimi decenni tanto da far rifiutare, per ben tre volte, la candidatura dell’Albania all’Unione Europea?
   In questi lunghi anni contraddistinti dal governo di Sali Berisha l’economia è andata a picco, idem per l’agricoltura! Quel poco di sanità che c’era è stato distrutto, le infrastrutture sono ad un punto morto, l’istruzione, fiore all’occhiello del Paese, non ha più quell’importanza che aveva prima. In cambio, la corruzione è aumentata e dell’Europa, del cosiddetto  mondo occidentale, è stata presa la parte peggiore: l’ideale (se così si può chiamare) del Dio denaro, tutto si può comperare e tutto si può avere con i soldi. Ma quel che è peggio è che è stata strumentalizzata la fede religiosa portando il regresso in un Paese che aveva messo la Patria, la cultura, le tradizioni, le libertà e la sacralità del territorio prima di qualsiasi religione. Famoso è il motto “feja e shqiptarit eshte Shqiptaria” (la fede degli albanesi è l’albanesità),io stessa provengo da una famiglia di musulmani non praticanti ma ciò non ha mai interferito con le altre confessioni presenti in Albania. Oggi, al contrario, assistiamo ad un fenomeno del tutto estraneo per l’Albania:  sempre più donne sono velate, alcune volte dalla testa ai piedi, e neanche l’occupazione ottomana non arrivò a tanto in Albania…i nostri avi erano i Pelasgi e la nostra terra si chiama Albania, Illyria, Arberia non di certo Qatar o Arabia Saudita. La cultura e la storia dell’Albania è collegata con la storia dell’Europa e del mondo intero e abbraccia tutte le culture di cui ha preso la parte migliore. Durante la seconda guerra mondiale, il popolo albanese fu l’unico in Europa, che salvò da morte sicura migliaia di ebrei. L’Albania diventò l’unico Paese in Europa dove gli ebrei poterono rifugiarsi e, quando anche l’Albania fu occupata dai nazifascisti, le famiglie albanesi si rifiutarono di consegnare gli ebrei che tenevano nascosti rischiando perfino la propria vita. Non furono dei codardi ma difesero  gli ebrei fino alla fine e poterono fare questo proprio per il forte senso della Besa (la parola data). Oggi l’Albania rischia di perdere questo elemento che la caratterizza da secoli e potrebbe diventare terreno fertile per i fanatismi e questa prospettiva mi inquieta oltremodo.

Cosa si aspetta dal nuovo Presidente, il socialista ed ex primo Cittadino di Tirana, Edi Rama?
Mi aspetto che i tempi siano maturi per un nuovo Rinascimento Albanese, vorrei lasciarmi dietro le spalle questi decenni di torpore politico, di corruzione, di privilegi.  Il vento finalmente sta cambiando anche in Albania.

lunedì 24 giugno 2013

Elezioni politiche in Albania; test cruciale per l'entrata in UE

di Emanuela Frate
Articolo da: ilmediterraneo.it del 22 Giugno 2013

Mancano poche ore all'apertura dei seggi elettorali in Albania. Domani 1,5 milioni di elettori albanesi saranno chiamati alle urne per  rinnovare il Parlamento. Questa volta l’Albania sarà sotto la lente d’ingrandimento degli osservatori stranieri e della UE che non potrebbero accettare accuse di brogli e incertezze come avvenne nel 2009 quando si svolsero le passate elezioni legislative che decretarono la vittoria dell’attuale Premier Sali Berisha. Come si diceva poc’anzi, l’Albania sarà un sorvegliato speciale e lo svolgimento di questa nuova tornata elettorale sarà il banco di prova per garantire al Paese delle due Aquile quell’affidabilità necessaria per poter ottenere l’agognato status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea che, ad oggi, è stato rigettato per la terza volta. Si tratta dunque di elezioni cruciali per il piccolo Paese balcanico che ancora fatica a trovare la sua strada. L’Albania infatti è ancora pesantemente afflitta dal clientelismo, dalla corruzione dilagante e da una forte disoccupazione. Ed anche il sogno europeo viene molto ridimensionato dopo la crisi profonda che vivono Grecia e Italia dove risiedono molti albanesi (molti dei quali hanno perso il lavoro dopo la chiusura ed il fallimento di molte aziende).


ELEZIONI ALBANIA: DUE CANDIDATI IN SFIDA 
La sfida è tra due candidati: c’è il Premier uscente Sali Berisha del Partito Democratico che si candida a rigoveranre il Paese  per la terza volta. Berisha, inviso alla diplomazia internazionale per le sue politiche, punta sui passi in avanti fatti dal suo Governo come l’integrazione alla NATO, le liberalizzazioni dei visti per i Paesi di area Shengen e le molteplici opere pubbliche (negli ultimi anni si è assistito ad un sensibile incremento nella costruzione di edifici e dei cantieri per l’installazione di pale eoliche e/o di pannelli solari). Edi Rama, il candidato socialista, con il suo slogan “Rilindje” mira a smantellare le politiche del suo avversario politico, tacciato di collusione con imprenditori e personaggi non del tutto limpidi. La tattica dei due avversari è comunque quella di screditarsi reciprocamente piuttosto che concentrarsi sui programmi politici per fare uscire il Paese dallo stallo economico e sociale in cui vive da decenni.
Ma l’incognita potrebbe essere rappresentata anche dall’outsider Kreshik Spahiu, leader del movimento di estrema destra “Alleanza Rossonera”(riprendendo i colori della bandiera albanese). Spahiu è una vera mina vagante che potrebbe raccogliere molti consensi. Egli infatti è un avvocato, considerato estraneo alla politica tradizionale ed ai complotti, ai voltagabbana e ai tornaconti personali che hanno contraddistinto i politici albanesi. Alleanza Rossonera come Alba Dorata in Grecia? O forse Spahiu è più simile al Beppe Grillo nazionale? Il Populismo approda dunque anche in Albania? Difficile da dire… 


ELEZIONI ALBANIA: ASTENSIONE AL VOTO E DEMORALIZZAZIONE
Un’altra incognita può essere rappresentata dall’astensionismo che è un fenomeno comune un po’ a tutti i popoli europei. Molti albanesi infatti si dicono rassegnati, demoralizzati e probabilmente non si recheranno alle urne perché “tanto non cambia nulla”. Anche la CEC (Comitato Elettorale Centrale) che vigila sul buon andamento delle elezioni potrebbe non essere all’altezza di un compito così delicato dopo che alcuni membri dell’opposizione sono stati rimossi e sostituiti dai fedelissimi del Premier Berisha. Gli albanesi insomma vedono  un’Europa che arranca e non la considerano più quel Eldorado  dove rifugiarsi. Vorrebbero una Primavera balcanica sulla falsariga delle Primavere Arabe e di ciò che sta succedendo in Piazza Taksim in Turchia. Ma sembra ancora un miraggio lontano. Come quando, nel gennaio del 2011, quattro manifestanti che protestavano contro il Governo Berisha e contro il VicePremier Ilir Meta, coinvolto in uno scandalo di corruzione, furono uccisi dalla polizia e, tutt’ora risulta ignota la dinamica dei fatti e chi furono i responsabili della morte dei quattro civili uccisi. 

Insomma, la situazione in Albania è più che mai ingarbugliata e, anche se i sondaggi danno in vantaggio il centro-sinistra di Edi Rama, tutto è possibile e controvertibile in un Paese dove le Istituzioni democratiche sono ancora molto fragili.

mercoledì 24 aprile 2013

Jasteku

di Eleonora Niko Qeparoi   


DOLCI SOGNI  Mária Szánthó (1898-1984)
                                  

Jasteku
E mbusha jastekun me endrra,
Poshte, siper, anash, kudo i vendosa,
I bera si fiqte kallamates qe bente nena.
Rreshtuar nje nga nje ne fije zhuke te thata
Nga burimet e plazhit te Skalomes, t’embla…
Cuditerisht, zbavitem me endrrat e mia
Here si xixellonja ne tavan me ndrijne
Here i kthej ne mijra margaritare qe vezullojne,
Sa here djajte mundohen, gjumin te ma largojne! 
©Elko
4 Tetor-12


Pillow
I filled my pillow with dreams
Below, above, sideways, 
I placed them everywhere
Piled them up like the dry figs 
my mom used to pack together
one on top of the other, 
hanging by a dry thread of the zhuke plant
found in the sources of sweet freshwater
at the Ionian sea, Skaloma’s beach ...
Strangely, I get lost in my dreams 
like fireflies they lighten up the ceiling 
sometimes, I transform them
into thousands of twinkled pearls 
but sometimes devils attempt to repeal ! 






In chiesa, di K. Kavafis. Traduzione dal greco di Luigi Ferrara degli Uberti


IN CHIESA
Io amo la chiesa, amo i suoi labari,
gli arredi d’argento, i candelieri,
le luci, le immagini, gli amboni.
Quando sono là, nella chiesa dei Greci,
con i fumi fragranti dell’incenso,
le voci degli officianti e le polifonie,
con le sacerdotali figure maestose
nel ritmo grave d’ogni loro gesto,
splendide nei paramenti decorati,
la mente corre ai fasti della nostra stirpe,
alla nostra gloriosa era bizantina.
(K. Kavafis)
(Trad. dal greco di Luigi Ferrara degli Uberti)

sabato 6 aprile 2013

Silvana Licursi vista da Pino Settanni.

                                                                                                               Video di Rossella De Rosa

Eja uz lartë - Vieni su da me - Come up and see me
Adattamento di Silvana Licursi su testo tradizionale arbëresh di
Ururi (CB)

Vieni su da me,
no, piano, non salire!
 Fanciulla mia, non toccarmi il cuore.

Vieni dalla montagna,
vieni, montanina, 
il cuore devi darmelo
mano nella mano!
Vieni su da me,
tu non sai
- o cuore mio- 
 cosa mi hai fatto!

Vieni dalla montagna,
.......

Nastrino rosa,
per causa tua non trovo pace!
Nastrino color del mare,
per te --ahimè- morirò ucciso!

TESTO ARBËRESH

Eja uz lartë
dalë, mos hip!
Oj vajza ime
zëmërën mos me nghit.

Eja mall vashë,
eja malësore, 
zëmërën kat me japësh
ashtu dorë e dorë!

Eja uz lartë,
ti nghe di 
-oj zëmëra ime-
çë më bëre ti.

Eja mall vashë
...

E zahareleza kulor dë rosë
e u për tija nghë gjenj rëposë!
E zahareleza kulor dë marë
e u për tija --mëmë- vdes vrarë!


Silvana Licursi. Foto di Pino Settanni.

martedì 29 gennaio 2013

Il battesimo delle bambole: il comparatico arbëresh.



IL RITO DEL BATTESIMO FRA GLI ARBËRESHË
Enzo Spera, docente di Antropologia all'Università di Siena, ha curato per la RAI-TV un servizio su "Il battesimo delle bambole a Barile"; mentre Giovanni B. Bronzini dell'Università di Bari, cattedra di Tradizioni Popolari e V. Presidente nazionale F.l.T.P., lo ha ampiamente studiato a San Paolo e San Costantino Albanese (Potenza), pubblicando diversi saggi e pubblicazioni.
Il battesimo fra gli Arbëreshë, come rito di ingresso ufficiale nella comunità cristiana, ha tutt'altro significato e diversa modalità di somministrazione. Emerge - soprattutto - in tale evento la suggestiva figura, in sfarzosi paramenti greco-bizantini, del papàs (il sacerdote orientale, presente in circa trenta comunità etniche del territorio italiano) davanti all'ikonòstasi, mentre l'ispirata corale intona i canti dell'iniziazione (in lingua: 'Ndrikuila-kumbari e/o 'NdrikuilaNuni) il papàs - dopo aver introdotto "prindet" (i genitori) e tutti i parenti ("gjirit") alla liturgia bizantina con le litanìe diaconali - avvia la benedizione dell'acqua e dell'olio.
Questa fase rituale viene accompagnata, dal celebrante, con tre segni di croce sulla "Kolinvithra" e da una triplice alitazione. Indi il papàs invita i testimoni a porgergli la creatura (fàmulli se maschio, fàmulla se femmina) senza alcun indumento, perché possa immergerla tre volte ancora nel bagno "di purificazione " dal peccato originale (lo stesso in India si effettua, mutatis mutandis, nelle acque del "sacro" fiume Gange).
Un'altra caratteristica della spiritualità bizantina risiede nel conferimento immediatamente successivo secondo quei canoni, del sacramento della cresima e della stessa comunione. La 'Kolinvithra" è, generalmente, una grande bacinella in rame artisticamente lavorato. Segue, dopo la cerimonia religiosa, lo scambio dei regali da parte dei testimoni che entrano, così, a far parte di quella famiglia e di quella rete sociale di solidarietà (in Arbéresh, definita "gitonìe") oppure, con il poeta, "besa gjiakut" (la promessa inalienabile di fede e lealtà verso la memoria ed il sangue degli antenati skipetari). Va anche detto che l'origine tradizionale, teste descritta, sta diffondendosi, a macchia d'olio, nelle numerose comunitna alloglotte d'Italia, così come nelle grandi città che ospitano folti gruppi d'immigrati della nostra "Arberìa": Torino, Milano, Firenze, Roma, Bari, Cosenza e Palermo.

Fotografia, Roberto Alzani
Montaggio, Bruno Perna
Regia, Sandro Lai

venerdì 18 gennaio 2013

Tutto fa brodo. I costumi di Piana.

di Anna Maria Ragno

Le figurine Liebig venivano allegate alle confezioni delle tavolette di estratto di carne, l’antesignano del dado per brodo. I costumi qui raffigurati dell’Eparchia di Piana dei Greci, come veniva chiamata allora Piana degli Albanesi, fanno parte di una serie di sei figurine dedicate ai costumi folcloristici della Sicilia, che riportano la data del 1958. La figura di sinistra è accompagnata dalle seguente didascalia:

“Il costume di Piana dei Greci deriva dal ceppo albanese, trapiantatosi in Italia, per le persecuzioni dei Turchi, fra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI, e tuttora conserva i caratteristici attributi orientali. Il costume si compone della “zilona”, che è un’ampia gonna di seta o di taffettà nei vari colori del rosso, arricciata alla vita quasi tutta sul dietro, con splendidi ricami in oro, a foglie, che ricordano i parati del ‘500 e del ‘600. Sulla gonna vi è il “crascéte”, bustino i seta scura ricamata, al quale si attaccano le “mengheté”, che raccolgono le maniche della camicia e sono maniche esse stesse, con fioriti ricami. La camicia è di finissima tela di lino, funziona spesso da corpetto ed è ornata di ricami e pizzi d’alto pregio. Alla vita vi è una pesante cintura d’argento detto “bresi”, allacciata sul davanti con uno scudo che raffigura, in rilievo, l’immagine di San Giorgio che uccide il drago, o San Nicolò patrono delle colonie albanesi, o la Madonna dell’Odigitria. Le calze sono bianche, lavorate ad uncinetto; le scarpe di pelle, con fibbia, oppure dello stesso tessuto della gonna. L’abito si completa spesso con un grembiule nero con gli orli sfilati e con una mantellina di seta, bordata di ricami in oro e foderata di seta rosa. Gli orecchini sono d’oro o d’argento, e la collana è di prezzo; questa viene talvolta sostituita da un nastro di velluto che sostiene un gioiello d’oro finemente lavorato. Molto spesso il costume viene tramandato, in dote, dalla madre alla figlia ed i preziosi ricami della camicia e della gonnella, di particolare finezza, richiedono un impegno di parecchi anni”.


La figura di destra riporta una didascalia che differisce di poco dalla precedente, eccezion fatta per la descrizione più particolareggiata dei ricchi gioielli del secondo costume:

“Si compone di una gonna di pesante taffettà o di seta, molto ampia, o con un’arricciatura alla vita portata quasi tutta sul dietro, ed è guarnita da ricchi ricami in oro. La camicia è in tela di lino, con ricami e pizzi di gran pregio e porta al collo un risvolto ricamato e trinato. Il corpetto è molto attillato e si allaccia sul davanti con nastri; le maniche sono trattenute da nodi di seta. La vita è cinta da una pesante cintura d’argento detta “brezo” o “bresi”, allacciata sul davanti con uno scudo raffigurante, in rilievo, l’immagine di San Giorgio che uccide il drago, o San Nicolò patrono delle colonie albanesi, o la Madonna dell’Odigitria. Le calze sono bianche, lavorate ad uncinetto; le scarpe di pelle, con fibbia, oppure dell’identica seta della gonna; gli orecchini sono in oro o in argento con brillanti, rubini, perle; spesso hanno pendagli di preziosa fattura. La collana è in oro lavorata o è sostituita da un nastro di velluto che porta una crocetta d’oro con pietre. Tutto insieme è fuso in un delicato accordo di toni e di motivi e costituisce un esemplare modello di perfetta eleganza”.


Sitografia: 


giovedì 17 gennaio 2013

Lamento per la morte di Skanderbeg

di Anna Maria Ragno
Ritratto dell’eroe Giorgio Castriota Skanderbeg 
esposto agli Uffizi di Firenze.  E’ stato attribuito a Cristofano dell'Altissimo (c. 1525–1605).
Giorgio Castriota Skanderbeg morì il 17 gennaio 1468 ad Alessio, di febbre malarica. Quando il sultano Maometto II apprese la notizia della sua morte esclamò: "Se non fosse vissuto Skanderbeg, io avrei sposato il Bosforo con Venezia, avrei posto il turbante sul capo del Papa ed avrei posto la mezzaluna sulla cupola della Chiesa di S. Pietro a Roma!" Prima di cadere definitivamente nelle mani dei Turchi, l'Albania resistette, dopo la morte di Skanderbeg, quasi per altri 20 anni. Da allora, molti albanesi, per salvare la loro Libertà e la loro Fede, si rifugiarono nel Regno di Napoli, dove Ferdinando d'Aragona li accolse benevolmente, memore dei benefici ricevuti da Skanderbeg.

VDEKJA E SKANDERBEGUT  
Skoj një ditë mijegullore
mjegullore e helmore,
foka qielli doj të vaitonej,
pra tue e ditur me shi
nga tregu një thirmë u gjegj,
çë hiri e shtu lipin
ndër zëmrat e ndër pëlleset! 
Ish Lekë Dukagjini:
ballët përpiq me një dorë
shqir leshtë me jatrën:
- «Trihimisu, Arbëri!
Eni zonja e bularë
eni të vapëhta e ushtërtorë,
eni e qani me hjidhi!
Sot të varfëva qëndruat,
pa prindin çë ju porsinej,
ju porsin e ndihnej.
E më hjenë e vashavet,
më harenë e gjitonivet,
as kini kush të ju ruanjë.
Prindi e Zoti i Arbërit
ai vdiq çë somenatë;
Skanderbeku s'është më!»
Gjetin sjpitë e u trihimistin,
gjetin malet e u ndajtin,
kambanart'e qishëvet
zunë lipin mbë vetëhenë;
po ndër qiell të hapëta hinej
Skanderbeku i pa-fanë! 
(Rapsodie e scene di vita degli albanesi 
di Calabria, Papas Prof. Giuseppe Ferrari, 
Teologo dell'Eparchia, Docente 
all'Università di Bari. Lungro 1959. 
Tipografia SCAT- Cosenza)

LA MORTE DI SKANDERBEG
Passò un giorno nebbioso,
nebbioso e malinconico,
quasi pianger, pare, volesse il cielo.
Venne il novo mattino
tetro, pioviginoso;
dalla piazza s'udì tremendo un ululo,
sparse nei cuori il gelo,
nei palagi portò lacrime e lutto.
Plorava urlando Lek Dukagjino,
con una mano si percotea la fronte
e con l'altra strappavasi i capelli:
- Scuoti dal piano al monte
tutti i cordini tuoi, scuoti, Albania,
agli occhi nostri tutto
s'oscura il mondo: Skander non è più!
Matrone e cavalieri qui accorrete,
venite qui, soldati e poverelli,
il Grande a calde lagrime piangete.
Orbi oggi tutti siete
del padre, della guida, dell'aiuto;
oggi avete perduto
quei che vi custodìa
l'onore delle vergini,
dei villaggi la pace e l'allegria.
Grave giorno di lutto!
Stamane è morto il Principe,
il padre dell'Albania,
s'oscura il mondo tutto:
Skandergeg non è più! -
Alla feral notizia
i palazzi tremâr dai fondamenti,
cadder le rupi e seppelir le fonti;
dai campanili delle chiese in lenti
tocchi annunziâr le squille il grave lutto.
In alto, dell'empireo
s'aprì l'etereo velo
e Skanderbeg magnanime
e sventurato in gloria entrò nel cielo. 

Il Lamento per la morte di Skanderbeg nell'interpretazione appassionata e dal vivo della cantante arbëreshe Silvana Licursi.





venerdì 4 gennaio 2013

In te si rallegra tutto il Creato: l'icona che canta.

di Anna Maria Ragno
Icona dell’Epì sì Chèri

Fra i tesori della Parrocchia di San Nicola di Myra di Mezzojuso, figura la bellissima icona dell’Epì sì Chèri. La tavola, unica nel suo genere, illustra completamente il Theotòkion (detto anche Tropario) alla Madre di Dio. Attribuito a Giovanni Damasceno, il Tropario, che rappresenta una vera e propria composizione poetica cantata solitamente durante la Liturgia domenicale, inizia con questa bellisssima invocazione: “In te si rallegra, o piena di grazia, tutto il Creato”. Il canto proviene dall’Ochtoèchos, il libro liturgico che comprende l’officiatura domenicale per i Vespri e i Mattutini, e sembra sia stato aggiunto in epoca non determinata alla Liturgia di San Basilio, dove, come già detto, funge da Megalinàrio, cioè da Inno in onore alla Madre di Dio dopo la Consacrazione. 

La tavola è firmata da Léos Moskos, pittore della scuola siculo-cretese, attivo a Zante e a Venezia intorno alla seconda metà del XVII secolo. Misura cm 59x69 e ha  quindi dimensioni superiori a quelle normalmente associate alle icone destinate alla devozione privata. I princìpi iconografici e compositivi a cui si ispira l’icona, si rifanno sicuramente al modello fortemente innovativo di Theodros Poulakis, suo contemporaneo, che ci ha lasciato una serie di icone dedicate allo stesso soggetto. 

Il pregio dell’icona è dato dal modo attraverso cui l’iconografo, “scrivendo l’icona”, ha illustrato l’inno, utilizzando una serie di piccole composizioni dal diverso orientamento tematico, disposte in tre registri. L’iconografo, quindi, ha reso visibile quanto contenuto nella preghiera, che così recita: “In Te si rallegra, O Piena di Grazie, tutto il Creato, gli angelici cori, e l’umana progenie (primo registro, in alto), o tempio santificato e paradiso, vanto delle Vergini (secondo registro, al centro). Da te ha preso carne Dio ed è diventato infante Colui che prima dei secoli è il nostro Dio. Del tuo seno, infatti, Egli fece il suo trono, rendendolo più vasto dei cieli (terzo registro, in basso)”. 

L’icona, dice papàs Di Marco, è Anamnesi, cioè ricordo e richiamo;  Kèrisma, cioè annuncio e catechesi; Theoria, cioè contemplazione e preghiera; richiamo alla Tradizione; annuncio e dichiarazione di una presenza; contemplazione e coinvolgimento vitale per un cammino di speranza. L’icona del canto alla Madre di Dio rappresenta anche la relazione fra iconografia e musica bizantina, uno degli aspetti meno investigati della tradizione culturale e religiosa arbëreshë di Rito greco bizantino. Anche questo Inno, infatti, appartiene al grande ceppo della Musica Bizantina, della quale conserva le caratteristiche:

La grammatica musicale del repertorio liturgico arbëreshe, analogamente al canto gregoriano, non è basata sulla sensibilità tonale e sulla opposizione fra modi maggiori e minori che caratterizza la musica colta occidentale. Il suo sistema musicale è infatti di tipo modale e non tonale.  Questo sistema (modale) viene definito anche “ piano o orizzontale”. Quello che conta (anche nella polifonia) è la melodia di ciascuna voce, il procedere orizzontale delle note. Non è per niente presente il concetto di verticalità, ossia il concetto di una relazione tra le voci che non sia di tipo melodico ma di tipo armonico: il concetto di accordo è del tutto estraneo alla modalità. Quest’ultimo aspetto non è di poco conto, perché alla base c’è l’idea che il coro degli Angeli e i Serafini, a cui si rifà la melurgia bizantina, non può sfidare o competere con Dio in altezza. 

Il suo sistema musicale modale del repertorio abëreshë rimanda alla teoria bizantina dell'oktoíchos. Le melodie, infatti, obbediscono alla divisione modale della musica bizantina che comprende otto modi o “ìchì” con caratteristiche proprie di ogni “ìchos”. La divisione che non è esterna e formale, ma investe la struttura intima di ogni canto.

A differenza delle melodie della musica occidentale, rigidamente inquadrate nel rigo musicale e nel pentagramma, nelle melodie bizantine non esiste il rigo musicale. Gli intervalli, variamente intecciati e disposti, vengono determinati da simìa, coè da segni (o neumi), che man mano hanno sostituito i cenni della mano di chi dirigeva il coro.

Le forme poetico-musicali ancor oggi in uso, sono quelle dell'innografia bizantina: dalle semplici linee del tropario, come nel caso di questo canto alla Madre di Dio, alla complessità del contacio e del canone. Forme "minori", tra le altre, sono la katavasía, il theotokíon, lo stikirón. L’elemento fondamentale è il tropárion, una sorta di inno monostrofico a schema e metro liberi, che assume nomi diversi a seconda del soggetto o delle sue caratteristiche.

La trasmissione orale dei canti, nei termini illustrati, consente ai fedeli, per lo più in difetto di conoscenze musicali tecniche, di appropriarsi di un patrimonio che, secondo le occasioni, provoca atmosfere di grande suggestione psicologica e di profonda adesione spirituale. La tradizione musicale liturgica come tale è espressione di processi di autoidentificazione che rinforzano il senso di appartenenza alla comunità.

Per concludere, la relazione melurgia-iconografia bizantina rivela una mistica che è assoluta trascendenza, in quanto espressione di valori ultrasensibili, Presenza dell’Invisibile, sguardo dell’Uomo su Dio e di Dio sull’Uomo, finestra aperta sul mistero della Madre di Dio, in cui tutto il Creato si rallegra, divenendo sintesi di colore e suono.

Biblografia:
Pietro Di Marco (a cura di), Icone, arte e fede,  La Brinja soc. coop. a r.l., Comune di Mezzojuso, 1996-1997
Maria Concetta Di Natale (Catalogo a cura di), Arte sacra a Mezzojuso, Arti Grafiche SicilianeS.r.l, Palermo, 1991
Sitografia: