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domenica 5 novembre 2017

Maria Tuci e i 38 Martiri Albanesi.

(di Anna Maria Ragno)
A partire dal 1944 e per quasi 50 anni la Chiesa Cattolica albanese soffrì una dolorosa persecuzione da parte di una delle più feroci dittature comuniste dell’era contemporanea. In questo contesto furono condannati a morte, o morirono sotto le torture o per le sofferenze del carcere 38 martiri.
Il 5 novembre 1990, con la celebrazione della messa presso il cimitero di Scutari, la Chiesa di Albania usciva dalle catacombe e riprendeva la pubblica professione della fede dopo 50 anni di persecuzioni e torture. La viva memoria raccontata dai protagonisti, e l’inconfutabile verità dei documenti rinvenuti, hanno gettato luce sulle vicende di cui la Chiesa albanese era stata vittima. In questo clima è maturata l’esigenza di onorare la memoria di coloro che erano stati uccisi in odium fidei, e di avviare la causa di beatificazione in vista del riconoscimento del loro martirio.
La Conferenza episcopale albanese, il 25 aprile 2002, si è costituita parte attrice di un gruppo di trentotto servi di Dio. La lista comprende due vescovi, ventuno sacerdoti diocesani, dieci religiosi (tre gesuiti e sette francescani), quattro laici e un seminarista.



Monsignor Vinçenc Prennushi (1885-1949), pur non essendo il primo in ordine cronologico ad aver dato la vita per Cristo, è stato posto idealmente a guida del gruppo dei martiri a motivo della sua dignità ecclesiastica di arcivescovo e di primate di Albania.
Due volte ministro provinciale dei frati minori, è stato eletto vescovo di Sappa nel 1936. Trasferito nel 1940 alla sede di Durazzo, dal 1943 è stato anche amministratore apostolico dell’Albania meridionale.
Prennushi rappresentava, dunque, in quel momento la massima autorità della Chiesa cattolica in Albania. La sua cattura e la sua condanna erano essenziali nella strategia di attacco al cattolicesimo da parte del regime comunista, tanto più che, insieme a monsignor Frano Gijni, si era opposto a ogni tentativo di nazionalizzare la Chiesa, staccandola da Roma. Arrestato e imprigionato a Durazzo il 19 maggio 1947, monsignor Prennushi venne condannato a vent’anni di detenzione. Morì il 19 marzo 1949 nel carcere di Durazzo per i maltrattamenti e le torture.
Monsignor Gjini, l’altro vescovo nella lista dei trentotto martiri, aveva inviato una lettera al primo ministro Enver Hoxha e a tutte le ambasciate a Tirana per protestare contro la politica antireligiosa del governo. Subì la condanna a morte per fucilazione a Scutari l’11 marzo 1948, insieme ai religiosi francescani Çiprian Nika e Mati Prendushi. Il pretesto per la cattura dei francescani fu la falsa accusa di aver nascosto armi nelle loro chiese.
A essere fucilati per primi, nel marzo 1945, furono don Lazër Shantoja e don Ndre Zadeja. Poi è toccato ai gesuiti Giovanni Fausti e Daniel Dajani, al frate minore Gjon Shllakum, al seminarista Mark Çuni e ai laici Gjelosh Lulashi e Qerim Sadiku, che era sposato. A completare il numero di coloro che subirono la condanna per fucilazione in distinti momenti si annoverano don Alfons Tracki, Frano Mirakaj, laico e padre di famiglia, don Jozef Marxen, don Luigj Prendushi, don Dedë Maçaj, don Anton Zogaj, don Dedë Malaj, don Marin Shkurti, don Shtjefën Kurti e don Mikel Beltoja.
Sono morti, invece, sotto le torture o in conseguenza di maltrattamenti i frati minori Bernardin Palaj e Serafin Koda, il gesuita Gjon Pantalja, don Mark Xhani (Gjani), don Dedë Plani, don Ejëll Deda, don Anton Muzaj, don Pjetër Çuni, don Lek (Aleksandër) Sirdani, don Josif Papamihali, don Jak Bushati, il frate minore Gaspër Suma, don Jul Bonati e don Ndoc Suma.
Il frate minore Karl Serreqi venne arrestato nel pieno esercizio del suo ministero pastorale per non aver voluto rivelare il contenuto della confessione ricevuta da un uomo in fin di vita, ferito dalla polizia comunista nel corso di una sparatoria. Per questo è stato sottoposto a torture e condannato all’ergastolo e ai lavori forzati. Morì nel carcere di Burrel, a causa del durissimo regime di vita, il 4 aprile 1954.
Fra i Martiri Albanesi beatificati il 5 novembre 2016, sotto il pontificato di papa Francesco, c’era anche una donna, legata spiritualmente alla famiglia francescana: Maria Tuci.


Maria esercitò per breve tempo la professione di insegnate. L’11 agosto del 1949 fu arrestata in quanto aspirante alla vita religiosa tra le Suore Francescane Stimmatine. Fu condannata a 3 anni con la condizionale. Morì nell’ospedale del carcere a Scutari il 24 ottobre del 1950 per i maltrattamenti subiti, anche per aver rifiutato le proposte di un suo aguzzino. Tra le torture ci fu quella di esser chiusa in un sacco, con un gatto inferocito, che la dilaniò procurandole la setticemia.Inizialmente sepolta nel cimitero cattolico di Scutari, attualmente Maria Tuci riposa nella chiesa delle Suore Stimmatine sempre a Scutari. Alla sua memoria è stato intitolato un collegio per ragazze, situato a Rreshen.

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