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lunedì 27 novembre 2017

E' morto Alessandro Leogrande.

Ieri, stroncato da un infarto, è morto Alessandro Leogrande, lo scrittore e giornalista che aveva denunciato lo speronamento del Kater i Rades e raccontato lo sbarco della Vlora a Bari l'8 agosto 1991. Noi oggi vogliamo ricordarlo con il video montato da Rossella De Rosa, pubblicato nell'ottobre 2011 nel canale youtube della nota "cantantessa" arbereshe Silvana Licursi.

"Quando ho visto le immagini della nave rigurgitante di esseri umani, sconvolti e stremati, che sembravano arrivati da un altro pianeta, ho provato un sentimento misto di violenta commozione e di dolorosa incredulità. Ancora una volta un' imbarcazione carica di pena, di paura e di deliranti speranze aveva attraversato quel braccio di mare in una notte angosciosa, come tanti secoli prima. Non i turchi alle spalle, non le case bruciate e le donne rapite, ma una miseria senza nome e l'umiliazione di ogni umana dignità.
"Fratelli".... non è facile pronunciare questa parola, gettare un ponte su cinque secoli di lontananza, accettare una realtà tanto difforme dall'epopea e dal mito. "Fratelli" - parola tremante nella notte - foglia appena nata. Una storia che ricomincia."

(Silvana Licursi, 20 ottobre 2011)






Servizio di Alessandro Leogrande, Radio RAI3. I brani eseguiti, di SILVANA LICURSI, sono "E ìkura" tratto dal Cd "Trasmigrazioni", e "Vemi e marrëmi nusen" tratto dal cd "For from the Land of Eagles" .


Traduzione del testo "E ìkura"


"LA Fuggitiva"


Tutta vestita di nero
uscì una fanciulla dal suo paese
e andò a prendere congedo
dalla sua Terra.
Incontrò il gelso nero
e strappò un ciuffo di foglie;
incontrò un melo, e spezzò
rametti con piccole mele profumate.
Colse fiori di campo
e ne riempì il grembiule.
Poi iniziò, piangendo,
il lamento per la sua Terra:
Ti saluto, Terra mia!
Ti saluto perché ti lascio,
e non ti rivedrò mai più.
Non ho un posto in cui andare
né un paese in cui abitare,
né una casa nella quale restare...
Questi rametti e questi fiori
appassiranno appena sarò lontana,
ma giammai mi strapperanno dal cuore
il mio amore per te.
Addio, Terra mia!
Addio, Terra mia!

domenica 5 novembre 2017

Maria Tuci e i 38 Martiri Albanesi.

(di Anna Maria Ragno)
A partire dal 1944 e per quasi 50 anni la Chiesa Cattolica albanese soffrì una dolorosa persecuzione da parte di una delle più feroci dittature comuniste dell’era contemporanea. In questo contesto furono condannati a morte, o morirono sotto le torture o per le sofferenze del carcere 38 martiri.
Il 5 novembre 1990, con la celebrazione della messa presso il cimitero di Scutari, la Chiesa di Albania usciva dalle catacombe e riprendeva la pubblica professione della fede dopo 50 anni di persecuzioni e torture. La viva memoria raccontata dai protagonisti, e l’inconfutabile verità dei documenti rinvenuti, hanno gettato luce sulle vicende di cui la Chiesa albanese era stata vittima. In questo clima è maturata l’esigenza di onorare la memoria di coloro che erano stati uccisi in odium fidei, e di avviare la causa di beatificazione in vista del riconoscimento del loro martirio.
La Conferenza episcopale albanese, il 25 aprile 2002, si è costituita parte attrice di un gruppo di trentotto servi di Dio. La lista comprende due vescovi, ventuno sacerdoti diocesani, dieci religiosi (tre gesuiti e sette francescani), quattro laici e un seminarista.



Monsignor Vinçenc Prennushi (1885-1949), pur non essendo il primo in ordine cronologico ad aver dato la vita per Cristo, è stato posto idealmente a guida del gruppo dei martiri a motivo della sua dignità ecclesiastica di arcivescovo e di primate di Albania.
Due volte ministro provinciale dei frati minori, è stato eletto vescovo di Sappa nel 1936. Trasferito nel 1940 alla sede di Durazzo, dal 1943 è stato anche amministratore apostolico dell’Albania meridionale.
Prennushi rappresentava, dunque, in quel momento la massima autorità della Chiesa cattolica in Albania. La sua cattura e la sua condanna erano essenziali nella strategia di attacco al cattolicesimo da parte del regime comunista, tanto più che, insieme a monsignor Frano Gijni, si era opposto a ogni tentativo di nazionalizzare la Chiesa, staccandola da Roma. Arrestato e imprigionato a Durazzo il 19 maggio 1947, monsignor Prennushi venne condannato a vent’anni di detenzione. Morì il 19 marzo 1949 nel carcere di Durazzo per i maltrattamenti e le torture.
Monsignor Gjini, l’altro vescovo nella lista dei trentotto martiri, aveva inviato una lettera al primo ministro Enver Hoxha e a tutte le ambasciate a Tirana per protestare contro la politica antireligiosa del governo. Subì la condanna a morte per fucilazione a Scutari l’11 marzo 1948, insieme ai religiosi francescani Çiprian Nika e Mati Prendushi. Il pretesto per la cattura dei francescani fu la falsa accusa di aver nascosto armi nelle loro chiese.
A essere fucilati per primi, nel marzo 1945, furono don Lazër Shantoja e don Ndre Zadeja. Poi è toccato ai gesuiti Giovanni Fausti e Daniel Dajani, al frate minore Gjon Shllakum, al seminarista Mark Çuni e ai laici Gjelosh Lulashi e Qerim Sadiku, che era sposato. A completare il numero di coloro che subirono la condanna per fucilazione in distinti momenti si annoverano don Alfons Tracki, Frano Mirakaj, laico e padre di famiglia, don Jozef Marxen, don Luigj Prendushi, don Dedë Maçaj, don Anton Zogaj, don Dedë Malaj, don Marin Shkurti, don Shtjefën Kurti e don Mikel Beltoja.
Sono morti, invece, sotto le torture o in conseguenza di maltrattamenti i frati minori Bernardin Palaj e Serafin Koda, il gesuita Gjon Pantalja, don Mark Xhani (Gjani), don Dedë Plani, don Ejëll Deda, don Anton Muzaj, don Pjetër Çuni, don Lek (Aleksandër) Sirdani, don Josif Papamihali, don Jak Bushati, il frate minore Gaspër Suma, don Jul Bonati e don Ndoc Suma.
Il frate minore Karl Serreqi venne arrestato nel pieno esercizio del suo ministero pastorale per non aver voluto rivelare il contenuto della confessione ricevuta da un uomo in fin di vita, ferito dalla polizia comunista nel corso di una sparatoria. Per questo è stato sottoposto a torture e condannato all’ergastolo e ai lavori forzati. Morì nel carcere di Burrel, a causa del durissimo regime di vita, il 4 aprile 1954.
Fra i Martiri Albanesi beatificati il 5 novembre 2016, sotto il pontificato di papa Francesco, c’era anche una donna, legata spiritualmente alla famiglia francescana: Maria Tuci.


Maria esercitò per breve tempo la professione di insegnate. L’11 agosto del 1949 fu arrestata in quanto aspirante alla vita religiosa tra le Suore Francescane Stimmatine. Fu condannata a 3 anni con la condizionale. Morì nell’ospedale del carcere a Scutari il 24 ottobre del 1950 per i maltrattamenti subiti, anche per aver rifiutato le proposte di un suo aguzzino. Tra le torture ci fu quella di esser chiusa in un sacco, con un gatto inferocito, che la dilaniò procurandole la setticemia.Inizialmente sepolta nel cimitero cattolico di Scutari, attualmente Maria Tuci riposa nella chiesa delle Suore Stimmatine sempre a Scutari. Alla sua memoria è stato intitolato un collegio per ragazze, situato a Rreshen.

Ernest Simoni e l'ateismo di Stato di Enver Hoxha.

(di Anna M. Ragno)
Nel 1967 l'Albania è stata dichiarata per legge Stato ateo. E' l'unico Paese del mondo dove questo sia avvenuto. Infatti, in altri stati basati, tuttora o in passato, sul socialismo reale, l'ateismo di Stato non è stato stabilito per legge, ma viene favorito dalle politiche governative. La maggioranza di questi Stati hanno sostenuto ( e sostengono tuttora) la propaganda atea e si dichiarano atei, ma non hanno dichiarato per legge l'ateismo di Stato.
Invece, Enver Hoxha nel 1967 dichiarò l'ateismo di Stato, introducendo una legge che vietava la creazione di associazioni religiose, la presenza di luoghi di culto (ordinando la distruzione o la riconversione di quelli esistenti), la vendita o la pubblicazione di materiale religioso e l'insegnamento religioso.
Tutte le pratiche religiose furono vietate e perseguitate, anche in privato. Queste disposizioni furono confermate nella Costituzione albanese del 1976 dagli articoli 37 e 55, che stabilivano rispettivamente che non Stato non riconosceva alcuna religione e che erano vietate le associazioni, la propaganda e ogni attività religiosa. 
In questo contesto ideologico, numerosi furono i religiosi cristiani torturati e martirizzati dal regime, Fra questi Ernest Simoni, l’unico sacerdote sopravvissuto alla persecuzione del regime di Enver Hoxha. Durante i quasi 30 anni passati fra prigionia e lavori forzati, egli ha fatto il muratore, il minatore e l'addetto alle fogne di Scutari. 


Il 24 dicembre 1963, dopo la celebrazione della Messa di Natale, fu arrestato dalle autorità comuniste, con l'accusa di aver celebrato Messa a suffragio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, assassinato pochi mesi prima. Incarcerato e torturato, venne condannato a morte, ma la pena fu successivamente commutata in 25 anni di prigionia e lavori forzati.
Una nuova condanna a morte venne emessa nei suoi confronti nel 1973, con l'accusa di aver istigato una sommossa, ma la testimonianza a favore di uno dei suoi carcerieri fece sì che, ancora una volta, la condanna non venisse eseguita.
Dopo 28 anni di lavori forzati, nel 1981 venne liberato, pur continuando ad essere considerato "nemico del popolo" dalle autorità del regime. Anche dopo la liberazione dalla prigionia fu comunque costretto a lavorare nelle fogne di Scutari. Durante tutto questo periodo continuò ad esercitare clandestinamente il ministero sacerdotale fino alla caduta del regime comunista nel 1990.
Il 21 settembre 2014 incontrò papa Francesco in visita apostolica in Albania. 
Papa Francesco lo ha nominato cardinale il 19 novembre 2016.