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domenica 20 aprile 2014

Il tarallo di Chieuti, fra antropologia religiosa ed antropologia del cibo.

di Anna Maria Ragno

Foto di Antonietta Luce
Il 22 aprile si rinnova annualmente a Chieuti la carrese, la tradizionale corsa dei carri trainati da buoi. 
La sfida, di cui si hanno i primi dati certi a partire dal 1911, quando ad aggiudicarsi il 'palio di San Giorgio' fu il carro 'Maurea', nasce dalle tradizioni chieutine legate al culto di san Giorgio. 
Una delle leggende {1parla di un certo Roberto di Loretello (forse Rotello, vicino centro molisano) che avrebbe organizzato una partita di caccia tra i signori di San Martino in Pensilis, Ururi e Serracapriola. Al termine della giornata i cacciatori trovarono i cavalli inginocchiati su uno spicchio di terreno dove, scavando, emerse un'urna con le ossa del Beato Leone. Da quel giorno il luogo sarebbe diventato méta di pellegrinaggi mentre lungo la strada che a esso menavano si sarebbero innescate corse fra carri. 
L'altra ipotesi parla della tradizione di offrire rami di alloro che venivano portati alla chiesa del patrono San Giorgio nel giorno della sua festa e, proprio durante il trasporto, sarebbero iniziate le prime 'carresi'. 
I festeggiamenti durano ben quattro giorni dal 21 al 24 aprile e sono caratterizzati da tradizioni davvero singolari come la benedizione dell’alloro, simbolo della vittoria, che viene distribuito a tutte le famiglie chieutine che lo espongono come prezioso ornamento all’esterno delle loro abitazioni; e l’offerta del Tarallo che consiste in una grossa ciambella fatta di formaggio filato, intrecciata tutt’intorno, adornata da uccellini e cestini, e sormontata dalla statua di San Giorgio a cavallo che uccide il drago e salva la principessa. 

[1] Per la leggenda di San Leo e di San Martino in Pensilis, rimando al sito: http://it.wikipedia.org/wiki/Corsa_dei_carri_%28San_Martino_in_Pensilis%29



Dopo la tradizionale corsa, che ogni anno termina il 23 aprile, ai vincitori  del Palio, viene  consegnata una treccia di caciocavallo di circa 80 chili, raffigurante le gesta di S. Giorgio, che verrà portata in processione insieme alla statua del Santo. Ogni anno una famiglia, a turno, prepara questo grande Tarallo, che dopo la processione verrà distribuito fra tutte le famiglie del paese.

Per una trattazione più ampia rimando al mio scritto:
http://arberianews.blogspot.it/2012/05/la-carrese-di-ururi-polisemia-e.html



Le pecorelle pasquali della Martorana

di  Anna Maria Ragno


A  Palermo c’è una chiesa, la Martorana, a cui è legata una leggenda e la preparazione delle pecorelle pasquali di pasta reale.

La chiesa della Martorana, che oggi è concattedrale dell’ Eparchia di Piana degli Albanesi, nel corso dei secoli ha subito diversi rimaneggiamenti e cambi di destinazione d'uso. Dal febbraio 2013, dopo due anni di restauro, è stata finalmente restituita al suo antico splendore. I riti liturgici, le cerimonie nuziali, il battesimo e le festività religiose della parrocchia della Martorana, seguono la liturgia di rito bizantino e la tradizione albanese delle comunità dell'Eparchia di Piana degli Albanesi. Le lingue liturgiche utilizzate sono il greco o l'albanese.

La Martorana è quindi testimonianza della cultura religiosa e artistica ortodossa presente ancora oggi in Italia, apportata ed accresciuta dagli esuli albanesi rifugiatisi in Sicilia, sotto l'incalzare delle persecuzioni turche nei Balcani. Quest'ultimo influsso ha lasciato notevoli tracce nella pittura delle icone, nel rito religioso, nella lingua, nei costumi tradizionali propri della colonia albanese stanziata nella provincia di Palermo.
Nata come chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o di San Nicolò dei Greci, la Martorana venne fatta erigere nel 1143 per i fedeli di rito greco di Palermo da Giorgio Rosio di Antiochia, l’ammiraglio proveniente dalla Siria al servizio del re normanno Ruggero II.

Il mosaico dell'incoronazione di Ruggiero II di Sicilia (a sinistra)
e dell'arcangelo Michael (a destra).
Chiesa della Martorana, Palermo.
Circa nel 1193, Goffredo ed Eloisa Martorana, fecero costruire un monastero benedettino accanto alla chiesa. Nel 1435 Re Alfonso d'Aragona  concesse  poi la chiesa al vicino Monastero delle Benedettine, per cui la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio prese poi il nome de "La Martorana".
Dalla nobildonna Eloisa Martorana presero il nome anche i dolci in forma di frutti o le pecorelle pasquali di marzapane,  che oggi conosciamo come Frutti o pecorelle di Martorana. Perché questa relazione? Una leggenda narra che nel giugno 1537 l'imperatore Carlo V visitò Palermo. Nel giardino della Martorana vi erano alberi di aranci, ma a luglio non erano ovviamente maturi. Allora le monache escogitarono un sistema per far vedere un giardino bello e ben curato al sovrano: addobbarono gli alberi del convento con dei dolci di pasta di mandorle artisticamente colorati. I dolcetti ebbero così tanto successo, che superarono le mura del convento fino ad arrivare alla corte del re e, da quel momento, essi presero il nome di "pasta Riali" (pasta reale) o "frutti di Martorana".
Quindi in onore della nobildonna Eloisa Martorana, sia il complesso edilizio che i dolci preparati dalle monache, assunsero il nome "della Martorana". Con il passare del tempo ogni ricorrenza religiosa si guadagnò uno speciale soggetto di marzapane: pecorelle per Natale, cavallucci per Sant'Antonio, agnelli e pecorelle per Pasqua. Il successo di questi dolcetti spinse la corporazione dei Confettari a tentare di ottenere il monopolio della loro produzione. Lo scopo venne raggiunto nel 1575 con l'intervento del sinodo diocesano di Mazara del Vallo, che proibì alle religiose la preparazione della Frutta di Martorana, perché arrecava troppa distrazione al raccoglimento liturgico.

Ancora oggi i frutti della Martorana sono famosi nel mondo, perché la loro preparazione e il loro confezionamento prevede, nella forma e nell'aspetto alla fine del processo di preparazione, la perfetta imitazione o riproduzione di frutti, ortaggi o pesci, e talvolta pecorelle e agnelli. Internamente sono simili al marzapane  ma notevolmente più dolce e saporito