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venerdì 4 gennaio 2013

In te si rallegra tutto il Creato: l'icona che canta.

di Anna Maria Ragno
Icona dell’Epì sì Chèri

Fra i tesori della Parrocchia di San Nicola di Myra di Mezzojuso, figura la bellissima icona dell’Epì sì Chèri. La tavola, unica nel suo genere, illustra completamente il Theotòkion (detto anche Tropario) alla Madre di Dio. Attribuito a Giovanni Damasceno, il Tropario, che rappresenta una vera e propria composizione poetica cantata solitamente durante la Liturgia domenicale, inizia con questa bellisssima invocazione: “In te si rallegra, o piena di grazia, tutto il Creato”. Il canto proviene dall’Ochtoèchos, il libro liturgico che comprende l’officiatura domenicale per i Vespri e i Mattutini, e sembra sia stato aggiunto in epoca non determinata alla Liturgia di San Basilio, dove, come già detto, funge da Megalinàrio, cioè da Inno in onore alla Madre di Dio dopo la Consacrazione. 

La tavola è firmata da Léos Moskos, pittore della scuola siculo-cretese, attivo a Zante e a Venezia intorno alla seconda metà del XVII secolo. Misura cm 59x69 e ha  quindi dimensioni superiori a quelle normalmente associate alle icone destinate alla devozione privata. I princìpi iconografici e compositivi a cui si ispira l’icona, si rifanno sicuramente al modello fortemente innovativo di Theodros Poulakis, suo contemporaneo, che ci ha lasciato una serie di icone dedicate allo stesso soggetto. 

Il pregio dell’icona è dato dal modo attraverso cui l’iconografo, “scrivendo l’icona”, ha illustrato l’inno, utilizzando una serie di piccole composizioni dal diverso orientamento tematico, disposte in tre registri. L’iconografo, quindi, ha reso visibile quanto contenuto nella preghiera, che così recita: “In Te si rallegra, O Piena di Grazie, tutto il Creato, gli angelici cori, e l’umana progenie (primo registro, in alto), o tempio santificato e paradiso, vanto delle Vergini (secondo registro, al centro). Da te ha preso carne Dio ed è diventato infante Colui che prima dei secoli è il nostro Dio. Del tuo seno, infatti, Egli fece il suo trono, rendendolo più vasto dei cieli (terzo registro, in basso)”. 

L’icona, dice papàs Di Marco, è Anamnesi, cioè ricordo e richiamo;  Kèrisma, cioè annuncio e catechesi; Theoria, cioè contemplazione e preghiera; richiamo alla Tradizione; annuncio e dichiarazione di una presenza; contemplazione e coinvolgimento vitale per un cammino di speranza. L’icona del canto alla Madre di Dio rappresenta anche la relazione fra iconografia e musica bizantina, uno degli aspetti meno investigati della tradizione culturale e religiosa arbëreshë di Rito greco bizantino. Anche questo Inno, infatti, appartiene al grande ceppo della Musica Bizantina, della quale conserva le caratteristiche:

La grammatica musicale del repertorio liturgico arbëreshe, analogamente al canto gregoriano, non è basata sulla sensibilità tonale e sulla opposizione fra modi maggiori e minori che caratterizza la musica colta occidentale. Il suo sistema musicale è infatti di tipo modale e non tonale.  Questo sistema (modale) viene definito anche “ piano o orizzontale”. Quello che conta (anche nella polifonia) è la melodia di ciascuna voce, il procedere orizzontale delle note. Non è per niente presente il concetto di verticalità, ossia il concetto di una relazione tra le voci che non sia di tipo melodico ma di tipo armonico: il concetto di accordo è del tutto estraneo alla modalità. Quest’ultimo aspetto non è di poco conto, perché alla base c’è l’idea che il coro degli Angeli e i Serafini, a cui si rifà la melurgia bizantina, non può sfidare o competere con Dio in altezza. 

Il suo sistema musicale modale del repertorio abëreshë rimanda alla teoria bizantina dell'oktoíchos. Le melodie, infatti, obbediscono alla divisione modale della musica bizantina che comprende otto modi o “ìchì” con caratteristiche proprie di ogni “ìchos”. La divisione che non è esterna e formale, ma investe la struttura intima di ogni canto.

A differenza delle melodie della musica occidentale, rigidamente inquadrate nel rigo musicale e nel pentagramma, nelle melodie bizantine non esiste il rigo musicale. Gli intervalli, variamente intecciati e disposti, vengono determinati da simìa, coè da segni (o neumi), che man mano hanno sostituito i cenni della mano di chi dirigeva il coro.

Le forme poetico-musicali ancor oggi in uso, sono quelle dell'innografia bizantina: dalle semplici linee del tropario, come nel caso di questo canto alla Madre di Dio, alla complessità del contacio e del canone. Forme "minori", tra le altre, sono la katavasía, il theotokíon, lo stikirón. L’elemento fondamentale è il tropárion, una sorta di inno monostrofico a schema e metro liberi, che assume nomi diversi a seconda del soggetto o delle sue caratteristiche.

La trasmissione orale dei canti, nei termini illustrati, consente ai fedeli, per lo più in difetto di conoscenze musicali tecniche, di appropriarsi di un patrimonio che, secondo le occasioni, provoca atmosfere di grande suggestione psicologica e di profonda adesione spirituale. La tradizione musicale liturgica come tale è espressione di processi di autoidentificazione che rinforzano il senso di appartenenza alla comunità.

Per concludere, la relazione melurgia-iconografia bizantina rivela una mistica che è assoluta trascendenza, in quanto espressione di valori ultrasensibili, Presenza dell’Invisibile, sguardo dell’Uomo su Dio e di Dio sull’Uomo, finestra aperta sul mistero della Madre di Dio, in cui tutto il Creato si rallegra, divenendo sintesi di colore e suono.

Biblografia:
Pietro Di Marco (a cura di), Icone, arte e fede,  La Brinja soc. coop. a r.l., Comune di Mezzojuso, 1996-1997
Maria Concetta Di Natale (Catalogo a cura di), Arte sacra a Mezzojuso, Arti Grafiche SicilianeS.r.l, Palermo, 1991
Sitografia:




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