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martedì 10 gennaio 2012

La Leggenda di Rozafat, la Burrnesh e la Brigantessa


di Anna Maria Ragno


“L’amore di una madre per i figli non può nemmeno essere compreso dagli uomini [...] Con donne simili una nazione non può morire.”   Giuseppe Garibaldi



La leggenda di Rozafa e del castello di Scutari è una delle più antiche dell’Albania. Racconta di tre fratelli impegnati nella costruzione delle mura della fortezza. Durante la notte, il lavoro eseguito nella giornata crollava. Un vecchio saggio, che si trovò a passare di lì, disse loro che le mura, per essere forti e solide, necessitavano del sacrificio di una delle loro mogli. La scelta della moglie doveva avvenire casualmente, cosicché i tre fratelli giurarono di non dire niente alle proprie mogli  e che sarebbe stata immolata per il bene della comunità, colei che l’indomani sarebbe giunta con il pranzo. Il giuramento di assoluto silenzio venne infranto da due dei tre fratelli, che raccontarono tutto alle rispettive mogli. Fu così che l’indomani toccò portare il pranzo a Rozafa, moglie del più giovane dei fratelli e madre di un bambino. Le venne raccontato quanto il vecchio saggio aveva detto e il giuramento che era stato fatto fra di loro. La giovane accettò di farsi murare viva all'interno delle mura, ma pose la condizione che rimanessero scoperti un braccio per poter cullare il proprio bambino, una mammella per poterlo allattare, una gamba per poterlo cullare e un occhio per poterlo vedere. 
Rozafa è un mito di passaggio, che vede l’opposizione fra due generazioni, fra il vecchio e il nuovo, rappresentato dall’età dei tre fratelli, durante la costruzione del Castello di Scutari, che storicamente è avvenuta nel XIII secolo. Come in tutti i miti, fatti storici e fatti leggendari si confondono e si mescolano, ma una cosa rimane: il sacrificio di sé per il proprio bambino, quei gesti d’amore che solo una madre sa fare. In una prospettiva più ampia, questa leggenda rimanda  al sacrificio di sé per la propria stirpe, durante la costruzione del castello-Albania. Un processo che, come sappiamo, è stato lunghissimo e che, in un certo senso, non si è ancora pienamente concluso, con la democratizzazione dell’Albania.
Nella società albanese esiste un’altra figura femminile, emblematica di un mondo arcaico ancora legato alla famiglia patriarcale e al Kanun: la Burrnesh o Vergine giurata (Virgjinat e bitume in albanese). Secondo il codice di onore di Lekë Dukagjini, infatti, la donna ha la possibilità di proclamarsi uomo e di acquisire tutti i diritti, che il codice riservava esclusivamente agli uomini. La pratica sopravvive da trecento anni, anche se i casi di "Vergini giurate" moderne sono pochi (30-40 al massimo) e limitati ad Albania, Kosovo, Serbia e Montenegro. 
In questi casi la sessualità non conta, viene completamente soppressa in funzione del mantenimento dei valori della famiglia patriarcale e della trasmissione della proprietà, non consentita alle donne. Le donne, infatti, nella società albanese ancora oggi non ereditano la terra, perdono il proprio cognome quando si sposano, e vanno a vivere presso la famiglia del marito. Sottostanno quindi alla norma della residenza virilocale (la residenza viene stabilita presso la casa paterna del marito), la proprietà rimane indivisa nel caso in cui i fratelli lavorino e conducano ancora vita comune nella grande shpi (casa) patriarcale. Per gli Arbereshe questa è la norma della frëreshe, per i Croati del Molise è la norma della zadruga: la proprietà rimane indivisa, i mezzi di produzione rimangono in comune. 
In questa società segmentaria, basata su di una organizzazione piramidale, la donna è esclusa dall’asse ereditario, perché non trasmette la discendenza ai propri figli: “La legge riconosce per erede il figlio e non la figlia (art 36, comma 88 del Kanun)”, “La donna non eredita né dai parenti né dal marito” (art. 36, comma 91). La funzione attribuita dal Kanun alla donna, la assimila ad un “otre, fatta per sopportare pesi e fatiche” (art. 29). In tale contesto, la donna per “compensare” la famiglia della morte di un padre o dell’assenza di un capofamiglia di sesso maschile, diventa burrnesh. Dice l’antropologa Antonia Young nel suo Women who become men, scritto mirabile su vite e costumi delle vergini giurate. «La conversione avviene soprattutto in mancanza di maschi in famiglia. Una ragazza diventa uomo per ereditare le proprietà familiari che altrimenti non avrebbe potuto avere. Ma la conversione avviene anche in memoria di un padre morto presto o di un fratello». 
 Anche Hana, la protagonista del romanzo della scrittrice albanese Elvira Dones (Vergine giurate, Feltrinelli 2008), decide di compiere questo passo fatale per l’affetto nei confronti di uno zio, gravemente ammalato, che l’ha cresciuta come un padre, dopo che essa è rimasta orfana di entrambi i genitori. Un atto d'amore e di gratitudine che assume i tratti di uno spaventoso olocausto di sé, dopo il rifiuto di accettare un matrimonio combinato e la sottomissione al volere maschile. Hana pensa che l’unico modo per risolvere i suoi problemi sia cambiare il suo sesso sociale, diventando una burrnesh. «Nulla di strano» - racconta l’antropologo albanese Moikom Zego -  « la nostra è una terra di magici travestimenti. In qualche villaggio dopo la nascita di un figlio l’uomo si finge madre e accoglie gli ospiti sdraiato nel letto. Vestito da donna».

Video:http://www.youtube.com/watch?v=-aMaI91lA-M 


Quello che la Vergine giurata compie è quindi il sacrificio totale di sé per la famiglia, che assume la connotazione di un atto di amore estremo per il mantenimento dei valori familiari. Anche la sessualità è funzionale a questi valori, e laddove serva il maschio si produce in un certo senso il maschio o una donna ne assume lo status sociale, diventando burrnesh. Hana non è l’espressione di un mondo arcaico, il riflesso del primitivismo dell’ultima regione tribale europea, come la definisce l’antropologo Stahl l’area balcanica composta dall’Albania settentrionale, dalla Macedonia e dal Montenero . La sua figura, e in un certo senso la sua funzione sociale e affettiva, è vicina a quella delle tante zie, che nel Meridione d’Italia dedicano la propria vita alla famiglia del fratello o della sorella. Chi non ha una zia Marietta nella propria famiglia? Sono persone devote, totalmente dedite alla preghiera e alla famiglia, paterna o materna che sia: madri putative dei figli delle sorella;  sostegno morale ( e certe volte anche  economico) della famiglia del fratello; figlie devote che dedicano la propria vita all’assistenza dei genitori anziani; perpetue instancabili del fratello celibe o prete. Persone che si scusano sempre di esistere, trasparenti e silenziose, vere colonne portanti della famiglia meridionale, dei suoi saperi e dei suoi valori, certe volte fino al familismo, al totale sacrificio di sé in nome della famiglia altrui.
La figura della Brigantessa rimanda al contributo degli Arbereshe al Risorgimento (1860-70), ma soprattutto al sacrificio di sé per amore. Secondo lo storico Giordano Bruno Guerri, che si auspica una profonda opera di revisione storiografica del Risorgimento, «queste donne combattevano anche per amore, per stare con i loro uomini». Sono donne come l’arbereshe Maria Oliverio, detta Ciccilla, capace di uccidere la sorella Concetta, amante del brigante Pietro Monaco, con 48 colpi di scure, per seguirlo e diventare brigantessa e capobanda come lui. Si trattava di «partigiane ante litteram, antesignane di un femminismo istintivo e rabbioso, ribelli stanche di essere confinate – da sempre – al letto, al focolare e ai figli» (G. Bruno Guerri).  Donne capaci di capovolgere ogni luogo comune, di infrangere ogni regola, per vivere la propria passione amorosa fino all’estremo, fino alla morte. Donne che comunque furono interpreti del proprio tempo, di quell’Italia preunitaria, annichilita tanto dall’invasione delle camicie rosse di Garibaldi, quanto dall’invasione dell’esercito blu dei Savoia: "Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti", così scrisse l’italo-albanese Antonio Gramsci nel 1920 in "Ordine Nuovo". Quello che i Piemontesi non capirono è che il Meridione poteva essere Italia senza diventare terra di conquista.
A Montecilfone, in provincia di Campobasso, in Molise, ancora si raccontano queste storie , anzi si cantano. Silvana Licursi ha raccolto questi canti come le perle di una collana, che l’amica Rossella De Rosa, con i suoi montaggi video, sta rinfilando una per una su di un filo di seta. Dice la Cantantessa di Portocannone “Donna Tommasina è la storia di una donna giovane, bella e ricca che si innamora del giovane brigante che l'ha rapita. Moriranno insieme, uccisi dai soldati, ma prima di morire si saranno molto amati e lei avrà molto ballato! E' una storia un po' vera, un po' leggendaria di "Amore e Morte, ma -innanzi tutto- di violenta infrazione di regole rassicuranti e opprimenti, di capovolgimento dei luoghi comuni come solo la passione d'amore sa fare. Purtroppo il prezzo è altissimo, ancora oggi.” 

Il canto è eseguito “a cappella”, senza l’accompagnamento di strumenti. Anche questo fa storia.



P.S.  Zia Marietta è contenta di non essere stata citata alla fine dell’articolo e, come è nel suo stile, non fa capolino neanche nelle conclusioni. Lei pensa che la sua figura non possa essere accostata a donne così importanti come Rozafa, Donna Tommasina e Hana, ma la vera eroina della poetica del nostro quotidiano è lei, così silenziosa ed essenziale.

Bibliografia
Del Boca Angelo, Italiani, brava gente?, Ed. Neri Pozza, 2005
Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio, Mondadori, Milano, 2010
Giordano Bruno Guerri, Il bosco nel cuore, Lotte e amori delle brigantesse che difesero il sud, Mondadori Milano 2011
Stahl. P.H., Se stessi e gli altri (alcuni esempi balcanici) in Lévi Strauss (a cura di), L’identità, Sellerio ed. Palermo, 1986, pag. 271-285
Stahl. P.H, Terra, Società, Miti nei Balcani, Rubettino editore, Soveria Mannelli, Messina, 1993

9 commenti:

  1. ...Arrivai di fronte a un imponente castello,
    sulla cui facciata erano incise queste parole:
    «Io non appartengo a nessuno e a tutti.
    Prima di entrare, tu eri già qui.
    Quando te ne andrai, rimarrai qui»...

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  2. Il libro scritto dalla Dones è un romanzo: capisce?
    Romanzo!!!
    La figura della burrnesha in Albania non ha nulla a che vedere con certe idiozie, nè con le vostre zie Mariette del cavolo!!!

    La smetta di scrivere articoli senza senso e non veritiere sul nostro popolo,
    altrimenti rischia seriamente di beccarsi una denuncia per diffamazione!!!

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  3. Per "Anonimo Feb 23, 2012 09:03 AM"
    Nessuno la obbliga a leggere quanto pubblicato nel blog.
    La invito, inoltre, a consultare l'articolo 21 della Costituzione che sancisce la libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione; nonché la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all'articolo 19:
    "Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione."

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    1. Vale a dire?
      Lei può esprimersi liberamente è gli altri no?
      Il fascismo è finito da un pezzo!!!

      P.s. Se non volete che vengano lette le vostre cavolate,
      evitate di fare pubblicità dapperttutto!!!

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  4. Caro lettore, la problematica è ben conosciuta e documentata da personalità come Antonia Young. Le allego il video del National Geographic, dove potrà leggere parte del mio articolo inserito come commento.
    http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2010/02/16/video/vergini_consacrate_una_tradizione_dura_a_morire-239/1/
    Le allego anche altri video:
    http://www.youtube.com/watch?v=Xu3fKqu1QW8
    http://www.youtube.com/watch?v=SmZJWB1RJ1s
    http://www.youtube.com/watch?v=ZGFzx-U8KIA
    http://www.youtube.com/watch?v=oQw1fF7JDck
    Come vede non temo smentite "serie" nè la sua denuncia per diffamazione.

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  5. Le melodie, i canti arbrshe patrimonio dell'umanità, canti di rinascita delle aree mediterranee.

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