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venerdì 6 dicembre 2013

La kulla: una cittadella albanese

di Emanuela Frate
(pubblicato il 5 Dic.2013 su BabelMed)

Panorama da una kulla (Foto Kosovo Bradt)
Fra le tante espressioni dell’identità di un popolo e delle esigenze umane, l’architettura è sicuramente una di queste. E la “Kulla” è, tra le forme architettoniche, uno straordinario esempio di sincretismo artistico e antropologico e tra le più singolari forme d’arte dall’elevato valore storico-culturale. Kulla è una parola albanese che deriva dal termine turco “kule” e significa letteralmente “torre”. In effetti le Kulle, costruzioni datate tra il 18° e 19° secolo, sono delle residenze fortificate dotate di cortile, che si ergono in altezza, dai muri molto spessi e assomigliano, appunto a delle torri. I muri sono costruiti sovente in pietra o, alcune volte, in mattoni e, al posto delle finestre ci sono delle fenditure (frenji) che avevano un duplice scopo: sia difensivo (serviva per appostare il fucile e sparare ai nemici senza timore di essere colpiti) che per preservare la riservatezza della famiglia, in particolar modo delle donne. La kulla si estendeva in altezza e anche se, al suo interno non era molto ampia, poteva comunque ospitare fino ad un centinaio di persone e, per questo motivo, era estremamente adatta alla famiglie patriarcali albanesi. Inoltre, lo spessore dei muri in pietra si adattava al clima montagnoso delle Alpi albanesi ed era perfetto per contrastare i rigidi inverni quanto le secche estati. Generalmente la kulla era divisa in tre piani: il piano terra era adibito a deposito di munizioni e attrezzature da lavoro oltre ad essere adoperato come stalla per gli animali, soprattutto per i cavalli; al primo piano stavano gli uomini, al piano superiore si trovava la “zona notte” con le stanze da letto mentre le donne e i bambini occupavano una dependance. Vi erano due ingressi distinti e due scale separate: un’entrata principale e una laterale riservata alle donne. Questa disposizione risentiva molto dell’influenza islamica dove gli ambienti fra uomini e donne erano divisi ma era altresì necessaria affinché gli uomini potessero proteggere le proprie famiglie dagli attacchi esterni.

Questa particolare tipologia abitativa, si diffuse in special modo nell’Albania settentrionale e nel Kosovo occidentale, lungo la Pianura di Dukagjini. Due aree confinanti accomunate dal fatto di esser spesso vittime di attacchi esterni, ora dai turchi, ora dalle vendette fratricide (gjakmarrja) da parte di chi subiva un oltraggio. Non è un caso che questi edifici, dai muri impenetrabili, fino ad un metro di spessore, dalle finestre quasi inesistenti e dall’altezza sorprendente, si diffusero proprio nella Pianura di Dukagjini che prende il nome dall’omonimo Principe e padre fondatore del più famoso Kanun, il codice d’onore albanese (oggi abrogato-almeno formalmente) che legittimava la vendetta, estendendola, dopo le 24 ore dall’omicidio, a tutti i membri maschi imparentati con quella famiglia, creando così una spirale di odio e di violenza che si protraeva, spesso, per generazioni con famiglie in faida tra di loro. Dal momento che la casa era l’unico luogo considerato inviolabile, la kulla, che è molto più che una casa ma quasi una fortezza, diventava il vero e unico rifugio impenetrabile.

Nel tempo la Kulla rappresentò il potere dell’aristocrazia albanese e delle classi sociali più elevate. Ma ci sono anche altri elementi che rendono unica questa abitazione da un punto di vista non soltanto architettonico ma anche grazie agli arredi interni : ad esempio il primo piano dove risiedevano gli uomini (Oda e Burrave) era considerato il luogo di discussione privilegiato dove il capofamiglia (Zoti i Shtëpisë) insieme agli altri uomini della famiglia assumeva le decisioni importanti, oppure si parlava di argomenti futili tanto per ingannare il tempo o si ricevevano gli ospiti che, nella cultura albanese, sono sacri. Questa stanza assunse perfino una connotazione romantica diventando un microcosmo sociale come si può anche leggere in molti passi di “Aprile Spezzato” , il romanzo del famoso scrittore albanese Ismail Kadaré. E’ probabile che lo stesso Kanun si sia tramandato oralmente, una generazione dopo l’altra, proprio all’interno dell’Oda dove si riunivano gli uomini di uno stesso clan familiare. Al centro delle “Oda” si trovava spesso un camino per riscaldarsi, numerosi tappeti, il lungo pugnale detto “hanxher” di cui ogni buon albanese montanaro non poteva fare a meno, molto spesso vi era anche una Qibla che indicava la direzione della Mecca per le preghiere quotidiane. Immancabili erano le credenze a muro intagliate in legno e la controsoffittatura dalle travi in legno. Alcune kulle erano dotate del cosiddetto cardak, la tipica veranda di ispirazione ottomana che occupava l’ultimo piano dell’edificio.

Queste particolari costruzioni erano molto diffuse presso le popolazioni albanesi dell’Albania settentrionale, del Kosovo, della Grecia (nel Peloponneso abitato dagli arvaniti) e in Montenegro. Buona parte di questo importante patrimonio storico e artistico è andato distrutto o ha subito ingenti danneggiamenti, nel 1999, a causa degli eventi bellici tra albanesi e serbo-bosniaci che prendevano di mira proprio le molteplici kulle perché simbolo della tradizione e dell’identità albanese. Laddove invece non ci fu la guerra, è stata l’incuria e la trascuratezza a determinarne il progressivo disfacimento. Oggi, diverse organizzazioni internazionali, prima fra tutte la “Cultural Heritage Withhout Borders” (CHwB) hanno iniziato ad occuparsi del recupero, restauro o della ricostruzione di ciò che resta delle Kulle per riportare all’antico splendore questi edifici di inusitata bellezza e restituire all’umanità una fetta importante di un patrimonio storico e artistico tipicamente albanese. Oggi, quasi più nessuno abita all’interno delle Kulle ma la stragrande maggioranza di quelle ricostruite o restaurate ospitano i turisti stranieri alla scoperta dei Balcani oppure sono la cornice perfetta con congressi, convegni e seminari internazionali.





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