La tradizione delle “tavolate” di San Marzano di San Giuseppe, trae origine dell’usanza di bandire banchetti da offrire ai poveri ed ai forestieri nel giorno della festa di S. Giuseppe, in memoria dell’ ospitalità ricevuta dalla Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto.
Nell’antica comunità arbereshe, che alcuni amano definire “Albania Tarantina”, la realizzazione delle tavolate era affidata alle donne di uno stesso quartiere, che si riunivano in casa per preparare le tredici pietanze, in ricordo dell’ Ultima Cena.
Le
tavolate o “mattre”, come vengono chiamate in arberisht,
venivano
allestite su tavolieri di legno e disposte lungo
la via principale che parte dalla Chiesa Madre.
Sovente prendevano l’aspetto
di veri e propri altarini
a
sette
piani (simbolo
dei sette sacramenti).
Si
utilizzano ancor oggi gli alimenti tipici della civiltà contadina:
olio, farina, pepe, pesce, legumi ed ortaggi. Non compaiono né
formaggio né carne perché costosi e perché la festa coincide con
il periodo di quaresima.
Il
piatto principale è il pane servito con finocchio ed un’ arancia;
segue l’ insalata, i “ lampascioni “ lessati con olio e pepe;
fave con olio, pepe ed un’ acciuga; ceci e fagioli conditi nello
stesso modo; cavolfiore lessato intero ed insaporito con olio e pepe;
riso con sugo ed un pezzetto di baccalà fritto; stoccafisso al sugo;
massa di San Giuseppe con olio, “spunzale” ed un pezzo di
baccalà; maccheroni lunghi fatti a mano e conditi con miele e
mollica di pane fritto; “carteddate” con pepe.
I
13 piatti potevano essere serviti per 3,5 o 15 “Santi” scelti tra
le famiglie più povere del paese, che rappresentavano la Sacra
Famiglia (da
sola o accompagnata da San Gioacchino e Sant’ Anna
o dai
dodici apostoli)
La
sera del 18
marzo,
dopo
la messa e
prima
dell’accensione di
un falò di proporzioni eccezionali di
cui parleremo in seguito, il
parroco benedice le tavolate e, dopo che i padroni di casa hanno
lavato le mani ai Santi ( gesto rituale che ricorda l’ Ultima
Cena), questi possono assaggiare le pietanze. Terminata la
rappresentazione il cibo viene offerto ai poveri e/o ai forestieri.
Negli anni addietro il rituale prevedeva che i santi facessero il
giro delle case dove erano state allestite le tavolate.
La benedizione del pane.
Il rito della benedizione del pane si ricollega all’ origine del culto del santo, protettore dei bisognosi. Il pane, nella forma circolare recante le iniziali di S. Giuseppe o il simbolo della croce, è senza dubbio uno dei protagonisti della festa.
Le donne devote preparano, nei due giorni precedenti i festeggiamenti, l’ impasto che lasciano lievitare per una notte intera. All’alba del 18 marzo viene portato nei forni a cuocere e tutto il paese è invaso dalla fragranza del pane caldo.
La mattina della vigilia si celebra la “ benedizione del pane di San Giuseppe”: la Chiesa Madre è ricolma di grandi ceste piene di pane che, al termine della benedizione, verrà distribuito ai poveri ed ai forestieri. Il pane deve essere spezzato con le mani e consumato dopo aver recitato una preghiera al Santo. Anticamente veniva conservato un pezzo della pagnotta e le briciole venivano sparse nelle campagne per allontanare il cattivo tempo.
Il falò e la processione delle fascine.
Il pomeriggio della vigilia è contrassegnato da un’altra importante cerimonia: la processione della legna, che si conclude con “zjarri e mate”, un falò dalle proporzioni straordinarie, alto anche 10 metri.
L’ origine di questo rito è da rintracciare in un evento accaduto agli inizi dell’ 800, che è rimasto nella memoria collettiva sanmarzanese. A causa delle temperature molto rigide e dell’ eccessiva miseria, gli abitanti del paese decisero di rinunciare ai piccoli falò che abitualmente venivano offerti a S. Giuseppe nei vicoli. Ma durante la notte della vigilia si scatenò sul paese un violento nubifragio, che divelse molti alberi nella campagne. Il fatto venne interpretato come un atto punitivo del Santo. I saggi del paese decisero allora di offrire a S. Giuseppe un unico grande falò da accendere sul largo Monte ( “ laerte Mali” ), in modo da essere visto anche dai paesi limitrofi.
Da allora, per quasi due secoli, la processione dei carri e delle fascine rimane il momento più suggestivo dell’anima popolare e religiosa dei sanmarzanesi.
E’ una processione interminabile che si snoda per le vie del paese e vede la partecipazione di tutti.
Protagonisti della processione sono anche i cavalli, addobbati per l’ occasione con eleganti finimenti. Essi sono ammaestrati a trainare gli enormi carri carichi di fascine, sormontati dall’immagine del Patrono, e a “genuflettersi” davanti alla statua del santo, appena giunti davanti alla chiesa.
Al termine della Messa serale il parroco, dopo la benedizione della legna ( fatta ai quattro lati della catasta, secondo i punti cardinali), accende il fuoco che per tutta la notte illuminerà il paese invocando la protezione del Santo Protettore.
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