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mercoledì 20 novembre 2013

Tirana dice no!

di Emanuela Frate
(pubblicato il 18 Novembre 2013 su BabelMed)


Il Presidente Edi Rama
L’Albania dice NO! Edi Rama dice No e risponde picche agli Stati Uniti che avevano proposto al Paese delle due Aquile di smantellare l’arsenale di armi chimiche siriane sulla base del fatto che in passato l’Albania aveva già disinnescato le sue armi chimiche che possedeva fin dall’epoca comunista. A dire il vero il processo di disinnesco delle armi del regime comunista non è ancora completato e ci sarebbero almeno 100mila tonnellate tra armi e munizioni da disinnescare. A queste si aggiungerebbe tutto l’arsenale chimico di Assad (290 tonnellate di armi, munizioni, gas nervini e veleni vari). Da quando si è diffusa la notizia che l’Albania sarebbe stata indicata come il luogo ideale in cui distruggere questo grosso armamentario, si sono levate proteste in tutto mondo. Ovunque ci fosse una comunità di albanesi, si sono organizzati dei sit-in per dire al mondo intero con fermezza un no deciso a questo genere di ipotesi.

Sono state raccolte, in poco tempo, più di 30mila firme per una petizione on-line e, manifestazioni di protesta sono state fatte in varie città albanesi come Tirana, Valona, Scutari, Durazzo ma anche in Italia: a Milano, a Torino, a Roma, a Rimini; in Macedonia ed in Kosovo dove risiede una più nutrita popolazione di etnia albanese ed anche in Europa come nella capitale francese. Mentre queste manifestazioni avevano luogo erano in corso i colloqui all’AIA nel quartier generale dell’OPAC (organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) e, alle 17h il Presidente albanese, il socialista Edi Rama, annunciava, nel suo discorso, l’esito delle trattative. C’era molta apprensione tra le piazze albanesi stracolme di manifestanti anche perché non c’era nulla che lasciasse sperare in qualcosa di positivo (la contropartita era molto allettante per il piccolo Paese del sud balcanico, si parlava di aiuti economici come una copertura finanziaria pari a tre volte il bilancio dell’Albania; il riconoscimento dello status di Paese candidato a dicembre; aiuto alla piena adesione dell’Albania all’Unione Europea nel primo mandato di Edi Rama; la garanzia di uno status speciale per l’Albania nei confronti degli USA in cui si parlava anche dell’abolizione dei visti e, dulcis in fundo, la proposta di dare all’Albania il premio Nobel per la Pace). Musica per le orecchie del Presidente Edi Rama che era, per questo motivo, titubante fino all’ultimo. Tant’è che fino a poche ore prima dell’annuncio ufficiale del ritiro dell’Albania dai negoziati per la distruzione delle armi siriane, si pensava, al contrario, per un sì. Ma alla fine, Rama, si è dovuto piegare alla volontà del suo popolo che, in un collettivo risveglio di coscienza civica, ha manifestato pacificamente per esprimere il proprio diniego.
(LaPresse/AP)


L’annuncio del Presidente Rama (che nessuno si aspettava) è seguito a manifestazioni spontanee di gioia, quasi una gioia da stadio frammista ad applausi, abbracci e lacrime in un gremito Boulevard Dëshmorët e Kombit. I manifestanti issano le loro bandiere dall’aquila bicefala, intonando canzoni, scandendo slogan. L’Albania non si piega, l’Albania non accetta il “pacchetto regalo degli Usa” in cambio di scorie, nervini, gas sarin che, se maneggiati male, potrebbero creare un vero e proprio disastro ambientale e nuocere gravemente alla salute dei suoi abitanti e dei Paesi confinanti. Per l’Albania è un giorno di festa, un piccolo Paese che ha saputo imporre la propria voce anche nei confronti degli USA nel generale silenzio dei media internazionali, aver rifiutato di accogliere rifiuti tossici in un Paese dove le discariche a cielo aperto già abbondano, aver scongiurato una potenziale catastrofe che se fosse avvenuta avrebbe avuto dimensioni immani.

Adesso permane il problema che entro giugno del 2014 l’arsenale chimico di Bashar Al-Assad dovrà essere smantellato. Ma dove? In quale sito? Quale sito verrà indicato la prossima volta? E se il caso dell’Albania divenisse un importante precedente ed il futuro sito che verrà scelto dovesse rifiutarsi di smaltire il deposito di armi e munizioni siriane sulla falsariga di quanto ha già fatto, coraggiosamente, la piccola Albania?

sabato 9 novembre 2013

I Chami: il genocidio dimenticato

di Emanuela Frate
(pubblicato in Babelmed.net il 9 Novembre 2013)

Lo scorso 15 ottobre, in un incontro bilaterale, il ministro degli esteri greco Evangelos Venizelos ed il suo omologo albanese Ditmir Bushati hanno nuovamente sottolineato l’importanza del trattato di Amicizia greco-albanese, stipulato nel 1996 che, nelle comuni intenzioni, dovrà essere rafforzato anche in vista di un prossimo ingresso dell’Albania in Europa. Belle parole, bei discorsi, iniziative lodevoli se non fosse che, in realtà, i rapporti diplomatici tra i due Paesi, oltre alle parole di circostanza e ai discorsi di facciata, non sono mai stati idilliaci. A margine dell’incontro istituzionale, il ministro albanese Bushati ha testualmente affermato che “il trattato di amicizia Grecia-Albania rappresenta una solida base per intensificare i rapporti tra i due Paesi” aggiungendo inoltre che “la Grecia dovrebbe abrogare la legge della guerra ancora vigente”. Questo, infatti, è un aspetto, insieme a quello della Ciamuria (in albanese) o Thesprotia (in greco) tuttora irrisolto che fa sì che, tra i due Paesi, vi sia tuttora un certo astio strisciante.

L’incontro fra i due Paesi balcanici confinanti e la ricorrenza, quest’anno, del centenario del Trattato di Londra del 1913 - che ha determinato gli attuali confini dell’Albania - con numerosi convegni e seminari sul tema, ha riportato in auge un’antica questione molto sentita dalla popolazione albanese ovvero l’abrogazione di una legge greca ormai obsoleta come la sopracitata legge della guerra strettamente connessa alla questione dei chami che, ogniqualvolta viene riproposta, suscita vaghe nostalgie associate ad una buona dose di irredentismo e retoriche nazionalistiche.

Tra i tanti popoli che, nel Mediterraneo, hanno subito ondate di persecuzioni e pulizie etniche, si sorvola spesso su quello chami, oppure il dramma vissuto da questo popolo viene vagamente accennato sui libri di storia e, non di certo, sui libri di storia greci. La Ciamuria, conosciuta in greco come Thesprotia ovvero l’Epiro centrale, è un’area situata nella zona costiera al confine tra Grecia e Albania ed è abitata da gente di etnia e lingua albanese e di religione prevalentemente musulmana. Questa popolazione fu, per decenni, oggetto di maltrattamenti e persecuzioni, fino a quando si consumò una vera e propria pulizia etnica nei confronti dei chami, molti dei quali furono forzatamente costretti ad emigrare in Albania per non subire ulteriori torture. Il pretesto per cancellare questa popolazione indesiderata fu l’accusa di collaborazionismo con il fascismo. L’episodio storico risale al 1943 quando i nazi-fascisti fucilarono quarantanove patrioti greci e, secondo la versione greca, questa carneficina si consumò grazie al concorso di cittadini greci di origine cham (quindi di etnia albanese e religione musulmana).

Generale Napoleon Zervas
In realtà, i chami furono sempre invisi ai veri greci essendo musulmani e quindi, nell’immaginario collettivo greco, assimilabili ai turchi cioè ai nemici storici. L’obiettivo della Grecia, infatti, era quello di cancellare tutti gli elementi non greci e l’identità non ortodossa. A subirne le conseguenze furono le minoranze macedoni e albanesi (sebbene in realtà diversi studi confermino che i greci di etnia macedone e albanese siano autoctoni). Da questo momento i chami furono allontanati in modo coatto dal territorio greco, buona parte di essi perirono durante l’esodo forzato ed altri furono massacrati (anche donne e bambini) per mano degli attacchi inferti dalle truppe elleniche guidate dal generale Napoleon Zervas che è tuttora considerato, in Grecia, un eroe nazionale per aver protetto il suolo greco (la zona di Giannina) dagli occupanti italiani (coadiuvati dai chami) durante la seconda guerra mondiale.

L’esodo forzoso dei chami contribuì non poco a fare di quella albanese, una tra le popolazioni più diasporizzate d’Europa. Come se tutto ciò non bastasse, ai chami furono confiscate terre, case, bestiame, arredi sulla base di una famigerata legge della guerra varata nel lontano 1940. Nel 1987 il governo greco propose l’abrogazione di suddetta legge anche se poi non fu mai ratificata dal Parlamento con il risultato che oggi, a distanza di 73 anni, col pretesto che la legge greca non viene applicata e che la sua abrogazione è implicita (senza bisogno di essere ratificata) persiste una legge ingiusta che impedisce de facto agli eredi e discendenti dei chami, di tornare in possesso dei propri beni, detenuti, illegittimamente, dalla Grecia. Ai Chami (buona parte dei Chami di religione ortodossa), rimasti in Grecia, viene tuttora impedito di parlare apertamente la lingua albanese e lo Stato greco opera un processo di assimilazione e di ellenizzazione dei chami nel tentativo di soffocare ogni sentimento di appartenenza alla minoranza etnico-linguistica albanese. Lo Stato greco nega tuttora i visti d’ingresso ai ciamurioti che volessero visitare la terra che hanno dovuto lasciare (la Grecia appunto).

Una soluzione a questo annoso problema sarebbe l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea (l’Albania ha ottenuto il riconoscimento di Paese candidato anche se il processo d’integrazione alla UE sarà ancora lungo e irto di ostacoli) cosicché anche gli albanesi possano avere uguali diritti ed i ciamurioti possano entrare liberamente in Grecia ed ottenere anche la cittadinanza greca. Ogni 27 giugno, dal 1994, il governo albanese celebra un giorno di commemorazione per ricordare il genocidio dei chami, ma, benché lodevole, si tratta di un evento isolato dal valore esclusivamente simbolico tant’è che, nella percezione comune, sono pochi ad avere la consapevolezza di quanto abbia dovuto subire e quanto ancora stia soffrendo l’identità del popolo Chami nel cuore della vecchia Europa.