(di
Anna Maria Ragno)
A
partire dal 1944 e per quasi 50 anni la Chiesa Cattolica albanese
soffrì una dolorosa persecuzione da parte di una delle più feroci
dittature comuniste dell’era contemporanea. In questo contesto
furono condannati a morte, o morirono sotto le torture o per le
sofferenze del carcere 38 martiri.
Il
5 novembre 1990, con la celebrazione della messa presso il cimitero
di Scutari, la Chiesa di Albania usciva dalle catacombe e riprendeva
la pubblica professione della fede dopo 50 anni di persecuzioni e
torture. La viva memoria raccontata dai protagonisti, e
l’inconfutabile verità dei documenti rinvenuti, hanno gettato luce
sulle vicende di cui la Chiesa albanese era stata vittima. In questo
clima è maturata l’esigenza di onorare la memoria di coloro che
erano stati uccisi in odium fidei, e di avviare la causa
di beatificazione in vista del riconoscimento del loro martirio.
La
Conferenza episcopale albanese, il 25 aprile 2002, si è costituita
parte attrice di un gruppo di trentotto servi di Dio. La
lista comprende due vescovi, ventuno sacerdoti diocesani, dieci
religiosi (tre gesuiti e sette francescani), quattro laici e un
seminarista.
Monsignor
Vinçenc Prennushi (1885-1949), pur non essendo il primo in ordine
cronologico ad aver dato la vita per Cristo, è stato posto
idealmente a guida del gruppo dei martiri a motivo della sua dignità
ecclesiastica di arcivescovo e di primate di Albania.
Due
volte ministro provinciale dei frati minori, è stato eletto vescovo
di Sappa nel 1936. Trasferito nel 1940 alla sede di Durazzo, dal 1943
è stato anche amministratore apostolico dell’Albania meridionale.
Prennushi
rappresentava, dunque, in quel momento la massima autorità della
Chiesa cattolica in Albania. La sua cattura e la sua condanna erano
essenziali nella strategia di attacco al cattolicesimo da parte del
regime comunista, tanto più che, insieme a monsignor Frano Gijni, si
era opposto a ogni tentativo di nazionalizzare la Chiesa, staccandola
da Roma. Arrestato e imprigionato a Durazzo il 19 maggio 1947,
monsignor Prennushi venne condannato a vent’anni di detenzione.
Morì il 19 marzo 1949 nel carcere di Durazzo per i maltrattamenti e
le torture.
Monsignor
Gjini, l’altro vescovo nella lista dei trentotto martiri, aveva
inviato una lettera al primo ministro Enver Hoxha e a tutte le
ambasciate a Tirana per protestare contro la politica antireligiosa
del governo. Subì la condanna a morte per fucilazione a
Scutari l’11 marzo 1948, insieme ai religiosi francescani Çiprian
Nika e Mati Prendushi. Il pretesto per la cattura dei francescani fu
la falsa accusa di aver nascosto armi nelle loro chiese.
A
essere fucilati per primi, nel marzo 1945, furono don Lazër Shantoja
e don Ndre Zadeja. Poi è toccato ai gesuiti Giovanni Fausti e Daniel
Dajani, al frate minore Gjon Shllakum, al seminarista Mark Çuni e ai
laici Gjelosh Lulashi e Qerim Sadiku, che era sposato. A completare
il numero di coloro che subirono la condanna per fucilazione in
distinti momenti si annoverano don Alfons Tracki, Frano Mirakaj,
laico e padre di famiglia, don Jozef Marxen, don Luigj Prendushi, don
Dedë Maçaj, don Anton Zogaj, don Dedë Malaj, don Marin Shkurti,
don Shtjefën Kurti e don Mikel Beltoja.
Sono
morti, invece, sotto le torture o in conseguenza di maltrattamenti i
frati minori Bernardin Palaj e Serafin Koda, il gesuita Gjon
Pantalja, don Mark Xhani (Gjani), don Dedë Plani, don Ejëll Deda,
don Anton Muzaj, don Pjetër Çuni, don Lek (Aleksandër) Sirdani,
don Josif Papamihali, don Jak Bushati, il frate minore Gaspër Suma,
don Jul Bonati e don Ndoc Suma.
Il
frate minore Karl Serreqi venne arrestato nel pieno esercizio del suo
ministero pastorale per non aver voluto rivelare il contenuto della
confessione ricevuta da un uomo in fin di vita, ferito dalla polizia
comunista nel corso di una sparatoria. Per questo è stato sottoposto
a torture e condannato all’ergastolo e ai lavori forzati. Morì nel
carcere di Burrel, a causa del durissimo regime di vita, il 4 aprile
1954.
Fra i
Martiri Albanesi beatificati
il 5 novembre 2016, sotto il pontificato di papa Francesco, c’era
anche una donna, legata spiritualmente alla famiglia
francescana: Maria Tuci.
Maria
esercitò per breve tempo la professione di insegnate. L’11 agosto
del 1949 fu arrestata in quanto aspirante alla vita religiosa tra le
Suore Francescane Stimmatine. Fu condannata a 3 anni con la
condizionale. Morì nell’ospedale del carcere a Scutari il 24
ottobre del 1950 per i maltrattamenti subiti, anche per aver
rifiutato le proposte di un suo aguzzino. Tra
le torture ci fu quella di esser chiusa in un sacco, con un gatto
inferocito, che la dilaniò procurandole la setticemia.Inizialmente
sepolta nel cimitero cattolico di Scutari, attualmente Maria Tuci
riposa nella chiesa delle Suore Stimmatine sempre a Scutari. Alla sua
memoria è stato intitolato un collegio per ragazze, situato a
Rreshen.