Legno
policromo e dorato del XVII secolo. Autore sconosciuto. La
statua, caratterizzata da rigida impostazione frontale, rappresenta
il Santo, intronizzato e benedicente; indossa i paramenti pontificali
bizantini, quali il felonion con omoforion, la stola, il camice e
l’epitrachilion e mostra il libro aperto con su scritto “Beati
siete voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio”. Il
trono, riccamente intagliato con figure animali, reca in alto le figure del
Cristo e della Theotokos, che porgono al Santo il Vangelo e
l’omoforion.
San
Nicolò è il patrono di Mezzojuso sin dal 23 aprile 1643. Nella chiesa di San Nicola, infatti, vi è una cappella dedicata al Santo e la
sua bellissima statua, realizzata in legno (XVII sec.). Ogni anno,
il 6 Dicembre, durante la solenne Liturgia di rito
greco-bizantino, vengono sostituiti i tre panini che San Nicolò
regge con la mano sinistra, con quelli nuovi eseguiti di proposito
dai devoti per la sua festa, scegliendo i più belli tra i tanti
preparati.
"Panuzza" di San Nicolò (Mezzojuso).
San
Nicolò rappresenta per Mezzojuso il gran padre della provvidenza e
il tutore delle ragazze orfane. Questo grande santo, arcivescovo di
Mira nella Licia, morì nel 342. Nel 1087 le sue spoglie furono
trasportate a Bari.
La
preparazione dei «panuzza».
Questi
«Panuzza» di S. Nicolò sono di forma rotonda, dal diametro di
circa cm. 5. Sono eseguiti in modo che risultino più duri di quelli
normali. Le donne chiedono in prestito i «bbulla», che sono antichi
punzoni di legno con i quali vengono incisi questi panini che,
spennellati d’uovo, alla cottura del fuoco acquistano il colore
dell’oro antico.
Bbulla per i panuzza di San Nicolò.
Nel
panino è rappresentata l’immagine di S. Nicolò benedicente, in
altri una scritta con caratteri greci. Secondo una leggenda, il Santo
sfamò con tre soli panini la città di Mira afflitta da carestia.
Le massaie, che sanno quanto sia importante la cottura del pane,
quando lo mettono al forno, poiché «lu furnu conza e guasta»,
pronunziano la seguente invocazione: «Santu Nicolò beddu di dintra
e beddu di fora», affinchè il pane possa riuscire a giusta
cottura e fragrante.
Questi
«panuzza» vengono distribuiti gratuitamente a tutte le famiglie che
li mangiano senza dimenticare di asportare da alcuni la crosta con
l’immagine di San Nicolò. La crosta si conserva perché, in caso di temporale, viene lanciata sui tetti per placare la tempesta.
Il
costume tradizionale femminile, la lingua e il rito greco bizantino,
sono i segni più evidenti della diversità culturale arbëreshë.
Questi tre elementi rappresentano la più sentita ed autentica
espressione di mantenimento dell'identità italo-albanese.
Ma
come ben
sappiamo, oltre
al costume, alla lingua e al rito, sopravvivono elementi
apparentemente “più deboli o di secondo livello” come le Vallje, le Carresi,la
musica, la gastronomia,
ecc. ecc.
Vi
è, inoltre, un elemento che non viene mai citato, ma
che costituisce forse l’elemento principale del mantenimento
dell’identità italo-albanese e dell’ arberisht: l’endogamia, cioè la scelta preferenziale del coniuge all'interno del proprio gruppo etnico (endogamia etnica) o del proprio villaggio (endogamia di villaggio).
Ogni
comunità, quindi,
si caratterizza attraverso una
serie elementi distintivi.
La comunità di Piana
degli Albanesi conserva come in uno scrigno ben tre elementi
distintivi: la lingua, il rito greco bizantino e il costume.
In
generale, riguardo ai costumi femminili non si hanno molte notizie
specifiche, se si escludono gli scritti del Pitrè, i tanti cenni su
testi letterali di scrittori locali e le poche documentazioni
iconografiche.
Vi
sono diverse testimonianze artistiche sugli abiti dei Greco-albanesi
di Piana degli Albanesi, tra cui le stampe di Vuillier (XVIII
secolo), le pitture e gli schizzi di Ettore De Maria Bergler e i
ritratti di Antonietta Raphaël, in parte conservate alla Galleria
d'Arte del complesso monumentale di Sant'Anna a Palermo. Esistono,
inoltre, diverse stampe private, acquarelli e cartoline di autori
sconosciuti, che ritraggono e testimoniano l'incomparabilità del
costume e degli ori di Piana degli Albanesi.
Quello che è sicuro è che in
oltre cinque secoli il costume tradizionale femminile arbereshe ha
mantenuto l'aspetto costitutivo orientale bizantino, che come
sappiamo si caratterizza per l'uso dei colori accesi, l'ampio
drappeggio, le maniche lunghe e larghe e le stoffe preziose ricamate
di seta, oro e argento. Probabilmente ha subito piccole
trasformazioni con influssi nei secoli che si sono succeduti,
rendendolo così un abito unico e inimitabile, di incomparabile bellezza.
Gli
abiti tradizionali, legati ai vari momenti della vita delle donne,
dalla quotidianità al matrimonio, scandivano i ritmi della
tradizione sociale del passato. Tramandati di madre in figlia e
conservati gelosamente, non sono più abiti di uso comune, ma costumi, e quindi strumenti di identificazione che assolvono quasi esclusivamente
a funzioni simboliche circoscritte ad alcune occasioni legate al rito
greco bizantino, alla festa e al ciclo della vita (battesimi,
matrimoni e funerali).
La
perdita progressiva di questo legame ebbe inizio dagli anni quaranta,
quando nel dopo guerra si introdussero in Europa nuovi vestiti
pratici e leggeri. Negli anni cinquanta e anni sessanta cadde quasi
in disuso l'abito di mezza festa e l'abito giornaliero. Ma gli
sfarzosi ed eleganti abiti, hanno conservato intatta la propria
specificità e ancora oggi vengono indossati in occasioni
particolari, continuando ad essere preservati meticolosamente dalle
donne di Piana degli Albanesi. Le occasioni sono rappresentate dalle
grandi cerimonie religiose e festive legate alla Settimana Santa
(Java e Madhe) e alla Pasqua (Pashkët), all'Epifania (Ujët të
Pagëzuam), ai battesimi (pagëzime) e ai matrimoni (martesë).
Per
la preziosità dei suoi tessuti e dei suoi ricami, il costume più
bello delle donne di Piana degli Albanesi è senza paura di smentita
il costume nuziale.
Unici
nel loro genere, gli abiti da sposa sono composti da una gonna e da
un corpetto di seta rossa con ricami floreali in oro, separati da una
cintura di argento (brezi), in genere del peso di più di un
chilogrammo, costituita da varie maglie lavorate del prezioso
metallo, con al centro, scolpita in rilievo, una figura di un Santo
orientale venerato: comunemente San Giorgio, San Demetrio o Maria
Odigitria.
Sul capo le donne di Piana portano il velo (sqepi) e il copricapo (keza), simbolo
del nuovo status di donne maritate. Sotto la cintura e sul capo, infine, un fiocco
(shkoka) verde con ricami interamente in oro, a quattro e a tre
petali.
Il
costume da sposa è generalmente completato dai gioielli: orecchini
pendenti (pindajet) d’oro rosso e bianco con pietre preziose
incastonate (diamanti, smeraldi, rubini); un girocollo di velluto con
pendente (kriqja e kurçetës) sempre con le stesse pietre preziose
incastonate; un anello di diamanti grezzi di forma rotonda (domanti);
una collana a doppio filo di pietre di granata chiusa in più punti
da sfere di filigrana (rrusarji) con pendente di diversa forma
contenente, in origine, una reliquia.
Il video che segue illustra la preziosa produzione orafa dei quattro fratelli Lucito di Piana degli Albanesi.
La
qualità della produzione, quasi ininterrotta, dei costumi, si deve
alla grande abilità artigianale delle ricamatrici arbëreshe
specialiste nel ricamare l'oro e nel trasformare la seta (mola), il
velluto e l'oro (in fili, in lenticciole e in canatiglie) in
raffinati e preziosi abiti, usando il tombolo o il telaio o
semplicemente l'ago, come si fa per la ricciatura a nido d'api della
maniche della camicia e per i merletti a punto ad ago.
Anche
le attività lavorative correlate hanno un rilievo molto importante e
offrono un illuminante spaccato socio-economico. L'impiego di
manodopera quasi esclusivamente femminile rinvia, infatti, ad una
divisione del lavoro, nella società e nella famiglia, di tipo
tradizionale, e le donne, avviate a questa attività sin
dall'infanzia, gradualmente raggiungevano una perizia tecnica che
consentiva loro di provvedere direttamente alla preparazione del
corredo.
La
gran parte della produzione dei manufatti è dovuta storicamente a
questo artigianato domestico che, pur basato su canoni di pura
riproduzione dei motivi, ha raggiunto livelli artistico-estetici
spesso ragguardevoli con il concorso del gusto personale delle
operatrici, la cui formazione non si esauriva nell'ambito familiare
ma, specialmente dal secolo XVIII, ha potuto beneficiare di una vera
e propria scuola di ricamo quale era a quel tempo il Collegio di
Maria di Piana degli Albanesi, dove ancora oggi esiste
un'esposizione permanente di quei ricami.
Vere e proprie opere d'arte, i costumi e i gioielli della tradizione arbereshe sono un vero e proprio scrigno di saperi materiali ed immateriali, un patrimonio inestimabile da custodire e tramandare alle generazioni future.