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lunedì 21 luglio 2014

Il Cristo di Gllavenica: la Sacra Sindone albanese.

di Anna Maria Ragno

Fra i "Tesori del Patrimonio Culturale Albanese" c'è un sudario del 1373, che conquista per la preziosità dell'esecuzione, e per la realtà che rappresenta: è l’Epitaffio di Gllavenica, detto anche Cristo di Gllavenica, preziosa testimonianza della devozione  e dell’abilità artistica albanese.
Cristo di Gllavenico
Questa "sindone" è assolutamente diversa dalla Sacra Sindone conservata nel Duomo di Torino ma idealmente accostabile ad essa per similitudine di significato, dignità e bellezza. Si tratta di una raffigurazione del Cristo Morto deposto su un grande "lenzuolo" che ricorda il celebre "lino" (la Sindone appunto) di cui parlano i Vangeli, nel quale fu avvolto il corpo di Gesù dopo la deposizione dalla croce, e che fu trovato poi accuratamente ripiegato nel sepolcro dopo la resurrezione.
Il celebre e venerato "Epitaffio di Gllavenica" della Cattedrale di Ballsh è un drappo sul quale è raffigurato il corpo del Signore, che per la ricchezza e raffinatezza dei suoi ricami e dei suoi ornamenti contrasta l'assoluta semplicità della Sindone di Torino, che conserva soltanto l'impronta del corpo del Signore, e risulta con immediatezza essere un lenzuolo comperato sul momento, sempre secondo il racconto evangelico, per la sepoltura di Gesù, che è infatti senza ricami e senza ornamenti di alcun genere.
Il lenzuolo raffigurato tra i tesori albanesi, invece, è un grande drappo di lino, interamente ricamato con fili di seta, d'oro, di rame e argento sul quale è raffigurato con vigorosa naturalezza, elaborato nell'essenzialità del disegno medioevale, il corpo del Cristo morto.
Il Cristo di Gllavenica presenta una ricca serie di ornamenti.
Intorno all'immagine di Cristo, sono raffigurati, tra medaglioni ornamentali, diversi angeli e apostoli, ricamati secondo i canoni dell'arte bizantina, e in alto sono evidenziati due personaggi tipici tratti dal racconto evangelico della Passione: Maria, la madre di Gesù e Giovanni, il discepolo prediletto a cui Gesù morente raccomandò la madre. La singolarità consiste proprio nell'imponente raffigurazione del "lenzuolo", oggetto che è solitamente ignorato o trascurato dagli artisti.
Il drappo, di raffinatissima fattura, serviva alle celebrazioni del Venerdì Santo. E' un tessuto di lino di 250 x 117 cm. Foderato e ricamato con fili d'oro, argento, rame e di seta rosa, blu, verde, e gialla di diverse tonalità che creano effetti di chiaroscuro. Sul sudario è ricamato in greco, con lettere d'oro, il vero e proprio epitaffio che ne ricorda come committente il vescovo Kalisi di Gllavenica e Berart; la data del 22 marzo 6881 (1373) e l'autore, tale Gjergj Arianiti, con il ricamatore d'oro.
Anche se poco conosciuto ai non albanesi,  l’epitaffio di Gllavenica, può essere annoverato alle “altre sindoni” - circa quaranta - che come la sindone di Besançon, i sudari di Cadouin e di Carcassonne, la “Santa Cuffia” di Cahors, nel corso dei secoli, hanno avuto la dignità di reliquie sepolcrali di Gesù. A differenza delle immagini acheropite (non fatte da mano umana) come la Veronica e il Mandilio di Adessa, il Cristo albanese della Cattedrale di Ballsh, rivendica la sua originalità e preziosità nel suo essere espressione di una devozione che si fa “abilità artistica” e ricamo in oro: lo stesso oro delle icone bizantine e dei costumi arbëresh.